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26. 04. 2024 04:52

Willie Peyote, il cantante più “politico” del Festival: «Se sei un guastatore, come puoi esimerti»

Tutto e il contrario di tutto: alla demoscopica non è passato inosservato Willie Peyote, con Mai dire mai (la locura)

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«Avere un personaggio che funziona è più importante che avere talento, avere il consenso è più importante che avere un programma, far parlare di sé è più importante che avere qualcosa da dire». Con queste premesse, Willie Peyote si è avvicinato al palco di Sanremo per la prima volta: la sua Mai dire mai (la locura) è l’unica canzone davvero “sociale” di quest’anno. E la giuria demoscopica l’ha premiata, issandola in top ten dopo le prime due serate.

Mai dire mai è la canzone più politica del Festival: perché la scelta di un brano di rottura nel tempio della tradizione?
«Perché se sei un guastatore come puoi esimerti? È un boccone troppo ghiotto proprio perché è Sanremo. Non sono nuovo a pezzi del genere. E poi, se fossi andato a Sanremo parlando d’amore o di qualcosa di leggero, avrei un po’ abdicato al motivo per cui faccio musica».

Poi scrivi che «siamo schiavi dell’hype», anche se per assurdo partecipare a Sanremo fa più hype di tutto.
«Certo, in tutto quello che faccio c’è hype. Il paradosso è che è più importante annunciare un disco e l’attesa è più importante dell’ascolto stesso, questo è il concetto dell’essere schiavi dell’hype. Tu devi creare hype in ogni cosa che fai, ma è diventata retorica questa cosa ormai. E mi dispiace. Si lamentano se ci sia o meno il sold-out, ma tu dovresti guardare il concerto: che cazzo te ne frega se è pieno o vuoto? Come quando entro in un locale e c’è già gente: se è pieno vuol dire che è un bel posto, no? Ma a me piace stare anche nei posti dove non c’è nessuno: se lo conosco io e so che è buono ci vado, fine.

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Perché hai scelto una cover come Giudizi Universali di Bersani?
«Un po’ per compensare il discorso fatto prima: a me piace mandare in confusione così, senza senso. Mi hanno detto di scegliere la canzone che volessi, quel brano lo adoro come molti italiani: è un grande pezzo, un capolavoro. Adoro la scrittura di Samuele che riesce ad essere leggero e profondo contemporaneamente, mi piaceva l’idea di stemperare un po’ quest’attitudine da giullare e guastatore scegliendo un brano che non sembra così profondo e pesante. Pur essendolo, forse anche più del mio».

Se pensi a Peyote in radio, viene subito in mente La tua futura ex moglie. Questo brano ha le carte per avere lo stesso successo?
«Musicalmente potrebbe averlo perché ha degli elementi che in radio possono funzionare: la cassa dritta, il ritornello che apre… Poi dipende quante polemiche ci saranno, visti i temi che tratto. Potenzialmente non mi nascondo, l’ho fatta appositamente radio friendly. Sentendola, si coglie perfettamente il fatto che sto prendendo per il culo me stesso. Sono a Sanremo con la cassa dritta, facendo rap che prende in giro tutti, poi però c’è l’orchestra e si parla di calcio. È tutto volutamente così».

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