«Chi ci ascolta deve sognare», parola della Colpa d’Alfredo Band

Colpa d’Alfredo Band
Colpa d’Alfredo Band

Tra gli anni Ottanta e Novanta le chiamavano “cover band” e si esibivano principalmente nei pub di provincia. Venivano etichettati come gruppi di Serie B, che suonavano per arrotondare o per puro divertimento rifacendo – spesso male – le canzoni di altri. Oggi hanno cambiato nome e anche collocazione nell’immaginario collettivo: le tribute band, più auliche e molto meno raffazzonate di un tempo, sono un fenomeno che nel tempo ha acquisito la sua credibilità.

In che modo? Intanto la maggior parte di questi gruppi è formata da ottimi musicisti, uniti dalla passione per uno stesso artista, che spesso li conosce, li supporta ed in qualche modo ne decreta l’ufficialità. Stefano De Santoli è musicista e fondatore della Colpa d’Alfredo Band, che si esibisce ufficialmente dal 2005.

Stefano, come funziona una tribute band?
«Semplice: Vasco è il nostro artista e noi cerchiamo di tributarlo. La nostra band nasce per volontà mia e del cantante. Giriamo tutta l’Italia da più di dieci anni con, devo ammetterlo, un grande successo. Il nostro pubblico conosce tutto di Vasco, dobbiamo essere fedeli a tutto. Dagli arrangiamenti al look. Chi ci ascolta ai live, deve sognare».

Eppure non è così semplice diventare una tribute band di Vasco…
«Partiamo col dire che in tanti provano ad imitare ed emulare che è sulla cresta dell’onda da quarant’anni. Proprio per questo Vasco aveva lasciato uno spazio nel suo sito dedicato alle tribute band, peccato che oggi lo abbia tolto. Nessuna band viene riconosciuta come “ufficiale”. Se un gruppo si arroga il diritto di definirsi “ufficiale”, poi ne risponde per vie legali. Vasco ci permette di andare a suonare: dobbiamo tutti a lui. E non è poco».

Com’è avvenuto il vostro primo incontro?
«L’ho conosciuto a casa dello storico chitarrista Maurizio Solieri nel 2005. Splendida persona, Vasco. Genuino, semplice e spontaneo. Per nulla diverso da come lo si vede».

È anche per questo che riesce a far breccia su più generazioni?
«Le racconto un episodio emblematico che mi è stato svelato proprio da Solieri. Un giorno mi disse che la maggior parte della gente che va ai concerti di Vasco lo fa proprio per l’avvenimento in sé, anche se conosce metà del repertorio. È così un evento, che conta esserci. Poi ci sono i brani: noi come band siamo legati a La Noia, una canzone vissuta, sofferta. Nel testo c’è una frase che dice: “Io non ci vivo più”. In cinque parole c’è tutto: la voglia di rivalsa, di uscire da quel contesto provinciale, la voglia di emergere. Questo è Vasco».

C’è una canzone o un album a cui vi sentite particolarmente legati?
«Credo che C’è chi dice no sia il disco di gran lunga più importante. Pieno di innovazione sonora, difficile trovare una traccia stonata. È il nostro leitmotiv. Ai nostri spettacoli ci richiedono tutti le canzoni di quel periodo. Non è un caso».

Ma chi sono esattamente i componenti della Colpa d’Alfredo Band e cosa fanno nella vita?
«Io suono la chitarra e mi occupo delle forniture di energia elettrica. Il “nostro” Vasco è il celebre impersonator Dino San ed è l’autista dello scuolabus (sorride, ndr). Non solo è uguale al Kom, ma ha anche l’accento emiliano: perfetto! Il bassista si chiama Giorgio Tortelli e fa l’infermiere, il batterista è orafo e si chiama Mauro Daveri, mentre il secondo chitarrista, Alessandro Acquisti, lavora in azienda. Siamo persone comuni con una vita assolutamente normale».

Per fare quello che fate ci vuole certamente passione. Ma quanto sacrificio mettete in preventivo?
«Oggi nulla va lasciato al caso: noi cerchiamo di predisporre tutto alla perfezione. Come in una vera azienda: facciamo molti chilometri, abbiamo molte spese e stiamo attenti a tutto, da dove dormiamo a cosa mangiamo. Ci piace dire che non siamo professionisti, ma siamo professionali. La gente paga per ascoltarci e il pubblico merita prima di tutto la nostra professionalità».


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