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18. 04. 2024 14:11

David LaChapelle torna a Milano. E si racconta in esclusiva: «Questa città e l’Italia mi scaldano il cuore»

Pronto a raccontare il suo stile iconico tra sfondi visionari e un concretissimo senso di fede. Ispirazione natura. E ha scelto Mi-Tomorrow per anticipare in esclusiva Poems and Fevers

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David LaChapelle è tornato. In Italia, un Paese che se lo nomini gli brillano gli occhi, e a Milano, dove per mesi è stato protagonista della personale David LaChapelle. I Believe in Miracles, di scena al Mudec fino allo scorso settembre. Essere di nuovo qui, in questi giorni, per l’inaugurazione di Poems and Fevers alla Galleria Deodato Arte, ha il sapore di un ritorno alle origini. La sua arte è sempre stata legata a doppio filo con la pittura e per lui la pittura fa essenzialmente rima con Rinascimento, scoperto da ragazzo sui banchi di scuola e poi faccia a faccia, nel 2006, in Italia, al cospetto della Cappella Sistina.

Praticamente una folgorazione. Che la fotografia potesse valicare i confini tradizionali e dialogare con la pittura e altre forme d’arte gli è stato chiaro sin dal principio. LaChapelle (classe 1963) ha mosso i primi passi da studente sviluppando una tecnica personale di pittura a mano dei negativi per ampliare ed esaltare la gamma cromatica delle immagini. In seguito, giunto a New York a 17 anni, dove Andy Warhol lo notò e poi lo assunse a Interview Magazine, l’artista ha fatto crescere la cifra stilistica con cui ha conquistato il mondo. Iper colorate ed esplicite soltanto in apparenza, le immagini firmate David LaChapelle contengono una speciale formula alchemica che gioca sulla ridondanza ed evoca l’assurdo per scavare nell’animo umano e trasmettere un carico di significati.

Al centro l’uomo e questo tempo, con tutte le sue fragilità, le derive e insieme le speranze per il futuro. Sono scatti di taglio teatrale e aria pop, sottolineati da mille sfumature di critica, che hanno tentato di incasellare lo stile nella categoria del kitsch, del barocco e del surreale. Tentativi, appunto, e non certezze. Il primo a non sapere come definire il proprio codice è LaChapelle, che alla domanda diretta glissa delicatamente con un sorriso. Quel che è certo (e che lui racconta volentieri) è il procedimento che precede lo scatto di ogni opera. Si tratta di una lunga e meticolosa catena preparatoria fatta di azioni e riflessioni: dalla individuazione del luogo, dei soggetti e degli sfondi allo studio della luce, fino alla costruzione degli scenari. Sono quasi sempre concepiti come fossero set cinematografici e qualche volta vengono elaborati a tavolino, con la realizzazione in studio di modellini di pochi centimetri di fabbriche, aerei, navi e distributori di benzina che nell’opera finita sembrano grandi come nella realtà.

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Le scene di gruppo sono dense, affollate, spesso a capitoli. La storia dell’arte entra in campo con un sottile gioco di reminiscenze, i colori raggiungono toni fluo, scintillanti come metalli, le pose delle figure sanno di preghiera, supplica, estasi e contemplazione. Un universo animato che LaChapelle ha plasmato coinvolgendo star dello spettacolo e persone comuni, declinando una natura selvaggia e spaccati urbani. L’impatto visivo è spesso straniante, visionario, ad emergere è la vulnerabilità e l’instabilità dell’uomo e del pianeta, gli eccessi e i limiti del consumo. Tutto sembra sospeso, spesso sull’orlo di un abisso, in attesa. Ma il messaggio ultimo è di speranza. Come raccontano le opere più recenti soffuse di una certa spiritualità.

David LaChapelle, Behold, Hawaii, 2017, ©David LaChapelle

Da qualche tempo LaChapelle si è trasferito alle Hawaii dove ha recuperato un contatto diretto con la natura, complice di un personalissimo senso di fede che traspare nei suoi scatti. Nelle lunghe passeggiate in riva all’Oceano Pacifico e tra le piante delle foreste pluviali l’artista ha trovato la fiducia in un domani migliore in cui tutti possiamo confidare se impariamo a rispettare la terra come patrimonio comune dell’umanità.

David LaChapelle torna a Milano, l’intervista esclusiva

Quando ha preso in mano per la prima volta la macchina fotografica, cosa è scattato in quel momento dentro di lei?
«Sono nato in Connecticut, ma ho frequentato la North Carolina School of the Arts per studiare pittura. Lì ho incontrato la fotografia. Uno dei miei professori, Clyde Haygood, la introdusse come materia nel programma di studi. Ne sono stato attratto da subito: quando ho avuto tra le mani la fotocamera ho provato un grande senso di libertà. All’inizio il processo era completamente analogico, si lavorava con i negativi e la stampa in camera oscura. Io ho trovato il mio modo di procedere dipingendo a mano i miei negativi per sperimentare e ottenere uno spettro più ampio di colori».

Portrait of Artist DLC © Thomas Canet

Cosa significa per lei essere un fotografo in questo momento storico?
«È un grande dono avere il desiderio di continuare a creare. Naturalmente, come accade con qualsiasi altra forma artistica di espressione, ci sono giorni e periodi più o meno lunghi in cui sento di aver detto tutto quello che volevo dire o in cui francamente non mi sento ispirato per realizzare nuove creazioni. Questi periodi più tranquilli mi permettono di dedicarmi alla cura dei lavori che ho fatto in passato, ma anche alla lettura, al giardinaggio e alle attività quotidiane di gestione del mio studio. Inevitabilmente l’ispirazione arriva sempre e così mi ritrovo a lavorare su una nuova idea. Come artista, la sfida è sempre sopravvivere e crescere. Mi sento profondamente grato ed emozionato quando vedo che c’è un pubblico per il mio lavoro».

A parte la pittura rinascimentale, Michelangelo in primis, notoriamente il suo grande amore, a quali altre fonti d’ispirazione fa riferimento?
«La musica per me è una grande ispirazione. Motiva e crea l’atmosfera per lavorare. Stevie Wonder, i Beatles, Chopin, Mozart e l’opera sono nella mia playlist. Per quanto riguarda l’arte visiva, alcuni dei miei lavori recenti sono stati ispirati da Odilon Redon, Edward Hopper, Suor Corita Kent e Georgia O’Keeffe. Ho lavorato con parecchi ballerini e incoraggio le future generazioni a continuare ad andare a teatro, a sperimentare la musica e la danza dal vivo perché non c’è nessuna esperienza più viscerale che assistere di persona a un grande spettacolo nella sua cornice tradizionale, come appunto è il teatro».

La bellezza estatica delle sue opere, cattura al primo sguardo, ma soffermandosi sui dettagli si scopre che contengono un dramma, un dolore, una dimensione critica ed etica molto forte. Quali significati vuole trasmettere?
«La ringrazio per averne colto la profondità. Ho realizzato oltre 5.000 immagini nella mia carriera, quindi ho trattato quasi un’enciclopedia di temi. Credo che gli attivisti facciano dichiarazioni e gli artisti osservazioni. Io preferisco quest’ultima cosa. Quindi ciò che esprimo è quasi sempre una manifestazione delle mie osservazioni, spesso presentate con leggerezza, umorismo e il desiderio di raccontare storie».

I soggetti da lei ritratti sono spesso personaggi della Bibbia e del Vangelo inseriti in ambienti iper contemporanei. Sembrano però andare oltre un credo religioso in particolare ed esprimere, piuttosto, una personalissima spiritualità. La sua. È così?
«Sì, queste opere vengono dal cuore e sono realizzate con sincerità».

Come legge e vive questi tempi post-pandemici, attraversati da guerre e crisi climatica?
«Un conflitto c’è dall’inizio dei tempi. Ho continuato a lavorare durante la pandemia. Avevo fede che sarebbe finita. È stato un periodo che ha cambiato la storia, ma è anche un tema che può risultare estenuante. Mi sento pieno di entusiasmo nell’andare avanti e anche se sono consapevole delle sfide del clima – è una tematica che ho esplorato sin dagli anni Ottanta: al 1988 risale la mia opera Scorched Earth, sulla deforestazione della foresta amazzonica – voglio che le mie fotografie forniscano una prospettiva di soluzione attraverso immagini spiritualmente edificanti».

In questi giorni, dopo il successo della recente esposizione al Mudec, torna a Milano con la mostra Poems and Fevers, alla Galleria Deodato Arte. Quali lavori presenta?
«I lavori previsti per la mostra alla galleria Deodato sono stati curati da Deodato Salafia in collaborazione con Gianni Mercurio. Sono frutto di una selezione tra i momenti clou delle diverse fasi del mio lavoro. Il corpus esposto include fotografie realizzate negli anni ’90 che sono puramente di evasione, immagini basate su temi dell’arte classica, ritratti di personaggi popolari e alcuni dei miei lavori più recenti e personali che esprimono idee spirituali».

Qual è il suo rapporto con l’Italia e con Milano, in particolare?
«Il solo sentire la parola Italia mi scalda il cuore. Il popolo italiano, la cultura e la sua ricca storia hanno avuto un impatto fortissimo sulla mia vita e sulla prospettiva da cui guardare le cose. Sono molto grato a questo Paese perché il pubblico e i collezionisti italiani hanno sostenuto il mio lavoro e sono stati molto generosi con me nel corso degli anni dandomi l’opportunità di esporre e creare un dialogo sulle idee che mi appassionano. L’Italia è celebrativa nei confronti della fotografia e spero che il mio lavoro possa continuare a coinvolgere e a ispirare gli italiani. Ho esposto in molti luoghi importanti: da Palazzo Reale e il Mudec a Milano, al Maschio Angioino di Napoli, alla Venaria Reale nei pressi di Torino. Ognuna di queste esperienze è stata unica ed emozionante. La passione dei nostri collaboratori italiani, dei designer, dei curatori e del pubblico ha dato un contributo incredibile al mio talento di artista e non vedo l’ora di restituire tutto ciò che mi è possibile attraverso la mia arte».

David LaChapelle, The Holy Family with St.Francis, Hawaii, 2019, ©David LaChapelle

David LaChapelle, l’opening da Deodato

L’opening, con David LaChapelle presente, è fissata per giovedì alla Galleria Deodato Arte in via Nerino 1 (registrazione gratuita sul sito). Curata da Gianni Mercurio, in collaborazione con Deodato Salafia, fondatore della galleria, la personale Poems and Fevers ripercorre con una trentina di opere tra ritratti, nature morte ed ensemble intrisi di spiritualità i diversi periodi del percorso artistico di LaChapelle. La collezione include le celebri pose di Britney Spears, Leonardo DiCaprio e David Hockney e icone come Rebirth of Venus, datata 2009: un’interpretazione della Nascita di Venere di Botticelli ambientata in epoca contemporanea sullo sfondo della giungla hawaiana. E poi, tra i lavori più recenti, svettano due titoli del 2019: Revelations, che ritrae una coppia di anziani abbracciati in una strada deserta su cui si annuncia, silenziosa e imprevedibile, una tempesta e The Holy Family with St. Francis, ispirato ai gruppi sacri della pittura rinascimentale. La mostra resterà aperta fino al 17 dicembre.

Poems and Fever (David LaChapelle)

Galleria Deodato Arte
Via Nerino, 1

Da giovedì 17 novembre a sabato 17 dicembre

Dal martedì al sabato,
dalle 10.30 alle 14.00
e dalle 15.00 alle 19.00

deodato.com
02.39.52.16.18

Immagine di copertina: David LaChapelle, After the Deluge_ Cathedral, Los Angeles, 2007, ©David LaChapelle

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