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29. 04. 2024 01:18

L’arte trova spazio, l’itinerario di Nicolas Ballario:«Con me nei luoghi del contemporaneo»

Con il critico percorriamo un viaggio fra arte pubblica e spazi espositivi milanesi che «ci parlano delle grandi istanze del nostro tempo»

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Una finestra sull’arte contemporanea, ancora poco conosciuta offerta da Nicolas Ballario. Cento schede dedicate a musei, associazioni e fondazioni tra le più innovative, ma anche a eventi, esposizioni diffuse e opere d’arte. È 100 luoghi del contemporaneo in Italia, edito da 24 ORE Cultura, a cura del critico Nicolas Ballario, curatore e conduttore televisivo e radiofonico che grazie a un linguaggio semplice, ma non semplicistico, introduce il grande pubblico nel mondo, spesso ostico, dell’arte contemporanea. Ai lettori di Mi-Tomorrow suggerisce le opere da non perdere a Milano.

Nicolas Ballario: «Non cerco mai di spiegarla, perché l’arte contemporanea perderebbe la sua magia, ma offro elementi utili per approcciarla»

 

Nicolas Ballario
 

Nicolas, nel tuo libro ti focalizzi sull’arte contemporanea: qual è l’obiettivo?
«L’Italia è il Paese con il più alto tasso di beni artistici, per lo più orientati all’arte classica. Siamo noti per custodire opere di valore inestimabile, ma da parecchi decenni, nel panorama artistico internazionale, la notorietà italiana è un po’ appannata. Un paradosso, perché l’Italia ospita moltissime prestigiose realtà dedicate all’arte contemporanea. Nel mio libro ho disegnato un itinerario che comprende cento luoghi: veri tesori tutti da scoprire».

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Come riappropriarsi del ruolo di “fabbrica della bellezza” nel mondo?
«Il discorso è molto complesso ma se prendessimo in considerazione il mercato dell’arte contemporanea come cartina di tornasole, dovremmo considerare che oggi l’Italia vale globalmente meno dell’1%. Le ragioni sono molteplici ma la principale è dovuta a una fiscalità penalizzante. Per recuperare occorreranno decenni e, soprattutto, non dovremo cercare di rincorrere modelli internazionali».

In che senso?
«Dovremmo puntare sul fatto che tutti gli artisti internazionali aspirano a lavorare in Italia per confrontarsi con il nostro patrimonio. Il nostro Paese dovrebbe mettere a disposizione la propria storia per permettere agli artisti di confrontarsi con essa. Nel libro parlo di beni architettonici, archeologici, paesaggistici che vengono utilizzati dagli artisti proprio per fare un raffronto tra antico e contemporaneo».

Riesci a rendere l’arte molto fruibile senza banalizzarla: qual è il segreto?
«Mi sono sempre dato una regola: per i contenuti attingo alla comunità scientifica, agli addetti ai lavori, mentre per il linguaggio mi ispiro al pubblico. L’arte contemporanea è obiettivamente complessa, ma in un mondo dove la superficialità è la regola, che qualcosa vada approfondito per essere compreso a fondo, non è male. Poi, non cerco mai di spiegarla, perché l’arte contemporanea perderebbe la sua magia, ma offro elementi utili per approcciarla. Ecco, il mio sforzo è orientato a parlarne in modo semplice ma non semplicistico».

L’arte contemporanea è ostica, come hai detto tu, ma non sarà anche a causa di un certo snobismo?
«È così… E sai qual è il punto? Qualsiasi ambito legato alla creatività ha bisogno di un pubblico: i musicisti devono vendere tanti dischi, così come gli scrittori con i loro libri. L’arte contemporanea ha altre regole: non ha bisogno di un pubblico vasto, perché gli artisti possono tranquillamente convincere solo quella piccola élite che può permettersi di acquistare le loro opere. Inoltre, molti addetti ai lavori hanno cercato di arroccarsi, costruire grandi steccati, non accorgendosi che nessuno desiderava valicarli. Quando hanno deciso di aprirsi al mondo sono rimasti spiazzati e, quindi, ora è tutto più complicato: alcuni aspetti, però, stanno cambiando».

In che modo?
«La natura dell’arte contemporanea è quella di arrivare a tante persone. La sua missione è parlare delle grandi istanze del nostro tempo, delle caratteristiche degli esseri umani, delle nostre fragilità, dei nostri punti di forza. Di condividere e farlo davvero con tutti».

Libro alla mano, qual è il primo luogo milanese che consiglieresti di visitare?
«Milano ospita tanti luoghi del contemporaneo e molti di arte pubblica, sparsi per la città. Consiglierei una passeggiata partendo da piazzale Cadorna, dove svetta il grande Ago, Filo e Nodo di Claes Oldenburg, per poi passare in piazza Affari e ammirare L.O.V.E., il “dito medio” di Maurizio Cattelan. A quel punto, abbiamo rotto il ghiaccio e andiamo a vedere le torri magiche, spirituali e monumentali di Anselm Kiefer a Pirelli HangarBicocca: terminiamo poi approcciando luoghi belli, intensi e profondi come la Fondazione Prada o la Fondazione Ica».

Quale grande artista contemporaneo vorresti approdasse a Milano?
«Una mostra personale di Louise Bourgeois e una grande retrospettiva di Cattelan, come quelle fatte a Parigi e a New York, con tutte le sue opere più iconiche disseminate in diversi luoghi della città».

Un giovane artista italiano da tenere d’occhio?
«Trovo molto interessante Diego Marcon, che ha una personale in corso al Centro Pecci di Prato ed è stato protagonista della mostra celebrativa del ventennale della Fondazione Trussardi, proprio a Milano, al Teatro Gerolamo».

 

Chi è

Curatore e conduttore televisivo e radiofonico, Nicolas Ballario ha studiato fotografia alla John Kaverdash School di Milano e ha frequentato l’Accademia Altieri di Roma. Entrato nello staff di Oliviero Toscani, è un esperto del connubio tra arte e mass media. Nel 2019 ha condotto insieme a Toscani la trasmissione Camera Oscura su La7, dedicata alla fotografia. Collabora con Sky Arte e Rai Radio 1, dove conduce il programma Te la do io l’Arte e tiene una rubrica su L’Espresso.

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