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06. 05. 2024 01:35

Il debutto discografico dei milanesi Tropea: «Il tempo giusto per l’album giusto»

La band milanese pubblica il primo disco Serole

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Tra le band punk underground più apprezzate in città, i Tropea pubblicano il primo disco Serole, frutto di sette anni di gavetta, già anticipato dai singoli Gallipoli, Discoteca e Tu credi che. Pietro, Lorenzo, Domenico e Claudio sono i Tropea dal 2017, ma è nel 2022 che approdano alla sedicesima edizione di X Factor, nel roster di Ambra Angiolini. Serole accompagnerà anche un tour nei club: tappa casalinga in Santeria Toscana 31, il prossimo 22 febbraio (biglietti da 26,50 euro su dice.fm).

Primo disco per i Tropea: «Al bar Picchio, in Porta Venezia, il nostro ritrovo inclusivo»

Molti avrebbero cavalcato l’onda della partecipazione televisiva per incidere il primo album. Non è il vostro caso.
«Intenzionalmente non abbiamo voluto questo. Abbiamo aspettato il momento giusto, senza alcuna pressione. Partecipando a un talent così noto come quello di X Factor sapevamo di andare incontro a diversi compromessi, che mai hanno cambiato la nostra natura, siamo arrivati in finale presentando in un Forum strapieno il brano Cringe inferno».

Milano già vi conosce, ma come vi presentate agli altri?
«Come una delle ultime band che hanno saputo cogliere dal fermento milanese dei suoi club la linfa giusta per saper crescere: tanti locali in cui ci esibivamo hanno chiuso, purtroppo c’è sempre meno terreno fertile per chi vuole farsi strada oggi».

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Quale Milano raccontate in Serole?
«Quella che ci ha permesso di arrivare qui, con il primo album – registrato, però, nelle Langhe – e tanta responsabilità alle spalle. Le vibes sono quelle cittadine, dei primi Tropea e degli ascolti internazionali, dall’alternative degli anni 2000 al postpunk di inizio anni ’80. Essere nati qui ci ha aperto gli occhi su tanti aspetti».

In Ti amerei si racconta un rapporto, però, travagliato.
«La nostra è una città in cui amore e odio viaggiano sulla stessa corsia. A volte ti senti giusto, a volte inadeguato, per viverla. Al posto della terapia abbiamo preferito risolvere i nostri malumori in musica, descrivendo le sensazioni di chi sa di non essere visto per come è».

Non è la Milano inclusiva di cui si parla tanto, insomma.
«Si può pensare che il suo patrimonio effettivo sia quello sociale, ma in realtà se non si hanno i requisiti adatti c’è scarsa possibilità di interazione, per questo il milanese è visto come freddo e distaccato. Per fortuna, nella nostra “culla” di Porta Venezia abbiamo mantenuto alti gli standard inclusivi: il bar Picchio, per esempio, è casa, la nostra ala protettrice, qui amici, colleghi e diverse compagnie si intersecano alla maniera che ci piace».

In breve

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