È stato un anno decisamente intenso e travagliato per l’Accademia Ucraina di Balletto che si è dovuta dividere tra il portare avanti la regolare attività didattica e offrire il proprio supporto agli amici di Kiev. «Siamo entrati in azione un po’ frastornati per quanto successo – racconta la direttrice Caterina Calvino Prina – Abbiamo iniziato un progetto di ospitalità e siamo arrivati a 54 ospiti tra ragazzi, ragazze e mamme. I ragazzi hanno frequentato l’Accademia e la scuola. Il progetto è ripreso a settembre con 30 persone».
Accademia Ucraina di Balletto, parla la direttrice Calvino Prina
I vostri allievi italiani come hanno vissuto questa situazione?
«È stato molto utile e formativo per loro. Hanno capito di essere privilegiati ad avere famiglie che li sostengono in questo loro sogno e che certi loro problemi sono forse un po’ meno gravi rispetto a quanto succede in altri posti».
Che notizie arrivano dall’Accademia di Kiev?
«Forse la situazione è peggio ora rispetto all’inizio della guerra. Kiev sta vivendo un momento difficilissimo, le sirene suonano spesso. Per una buona parte della giornata rimangono senza luce, i ragazzi non riescono ad andare a scuola».
Che anno è stato per i vostri insegnanti russi e ucraini?
«Molto complesso da entrambe le parti. È difficile tornare nel proprio Paese e anche semplicemente rimanere in contatto coi propri familiari».
Parlando dei vostri corsi, quanto è importante per gli studenti prendere subito confidenza col palcoscenico?
«Per come gestiamo gli otto anni di Accademia è importantissimo. Formiamo i ballerini di domani e lo scopo finale è salire sul palco. Cerchiamo di dare loro la possibilità fin da subito. Da due anni il Teatro Arcimboldi è la nostra seconda casa, i ragazzi studiano lì e vivono la vita del teatro. Il 1° e il 2 aprile saremo in scena con La Bayadère»
Che novità propone l’Accademia?
«Abbiamo ampliato l’offerta formativa coi corsi di danza contemporanea».
I giovani hanno ancora la vocazione per il balletto?
«Sì ed è bellissimo vederli innamorati della danza. Peccato che spesso debbano andare poi all’estero per lavorare».