Aiuti dalla Cina, Di Martino: «La mobilitazione è imponente»

Stefano Di Martino, Ambasciatore per l'Amicizia del Popolo Cinese nel Mondo: «I medici qui hanno notato che c’è troppa gente in giro e senza protezioni»

aiuti dalla cina
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Aiuti dalla Cina. Da anni è in prima linea al fianco della comunità cinese. Dopo aver trascorso una vita in consiglio comunale, a Milano, prima all’opposizione e poi in maggioranza, Stefano Di Martino è punto di raccordo tra istituzioni italiane (nazionali e locali), Ambasciata della Repubblica Popolare in Italia e autorità di Pechino.

 

«Non tutti sono consci degli sforzi che la Cina sta facendo per aiutare il nostro Paese», spiega a Mi-Tomorrow in qualità di Ambasciatore per l’Amicizia del Popolo Cinese nel Mondo.

stefano di martino
Stefano Di Martino

Cominciamo a mettere in ordine questi sforzi…
«Ci sono aiuti che stanno arrivando quotidianamente dalla Cina. Se parliamo di Milano, sono pacchi destinati alla comunità cinese e alle rappresentanze diplomatiche, impegnate, a loro volta, a rapportarsi con le associazioni presenti in città».

In concreto?
«C’è un approvvigionamento costante di strumenti di protezione: mascherine, tute, guanti, occhiali, termometri laser per gli ospedali».

Chiunque può beneficiarne?
«In Chinatown la distribuzione è quotidiana: addirittura ogni residente del quartiere, munito di documento d’identità, può ritirare una dotazione di mascherine in più da portare nel proprio condominio».

A chi vanno le altre donazioni?
«Alla Croce Rossa, ma anche alla Polizia di Stato e all’Arma dei Carabinieri. Ho consegnato personalmente mille mascherine e altrettanti paia di guanti agli uomini della PolFer impegnati nel presidio delle nostre stazioni, ma sono stato anche al reparto Radiomobile dei Carabinieri. C’è anche la mobilitazione di altri soggetti».

Quali?
«Domani mattina, a Bresso, la Ganten donerà alla Croce Rossa della Lombardia tredicimila bottiglie d’acqua».

Come fanno questi aiuti ad arrivare prima della Protezione Civile?
«Proprio per la mobilitazione spontanea dei singoli. Dalle città d’origine dei nostri cinesi qui a Milano stanno arrivando invii diretti di questi materiali, soprattutto dalla provincia di Zhejiang».

E non ci sono problemi?
«Certo, ci sono state problematiche burocratiche con i controlli delle Dogane».

Come si è rimediato?
«La merce arriva in Belgio, viene sdoganata lì e poi con i tir viene fatta recapitare in Italia. Purtroppo la burocrazia italiana spesso frena anche atti spontanei di solidarietà».

E’ una catena che va oltre Milano e la Lombardia?
«Tutte le città italiane gemellate con altre della Cina stanno ricevendo aiuti. Ci sono forti segnali di vicinanza: penso, ad esempio, a Venezia e a Macerata».

Perché Chinatown ha chiuso ben prima che il Governo lo imponesse?
«Perché si è avvertita un’esigenza di protezione personale e nei confronti degli avventori di bar, negozi e ristoranti».

Spieghi meglio…
«C’è stata un’emulazione di quanto visto in patria, dove è stata messa in quarantena un’area di 60 milioni di persone, più altre piccole zone dove gli operai di Wuhan si erano spostati per il Capodanno.

Tutta la Cina, comunque, si è chiusa in casa per oltre un mese e mezzo. Prendendo spunto da quest’impostazione, senza ordini dall’alto ma solo col passaparola, la comunità qui a Milano ha deciso di chiudere tutto».

Qual è stata impressione dei medici cinesi arrivati a Milano?
«Avete sentito le parole del vicepresidente della Croce Rossa nella conferenza stampa al fianco del governatore Fontana? Tutti hanno notato che c’è troppa gente in giro e che non indossa le mascherine».

Condivide questa preoccupazione?
«Senta, un conto è fare la spesa, un altro è farsi gli affari propri. Il modello cinese prevedeva una persona per famiglia per il tempo necessario degli acquisti di generi alimentari o farmaci ogni 3-4 giorni.

Qui abbiamo trovato gente a in giro a fare jogging, in bici, con parchi aperti, cani, gatti, cavalli, grigliate… è ovvio che i medici cinesi abbiano detto apertamente che occorre darsi una mossa. Magari qualcuno si è perso le immagini delle file di bare portate fuori dalla Lombardia perché non ci sono forni crematori disponibili».

Anche quando si potrà riaprire, ci sarà un’autovalutazione da parte della comunità cinese?
«Si organizzeranno loro, al di là di quel che dirà il Governo. Non hanno smania di aprire, anzi sarà una scelta ponderata e valutata nei dettagli. Tutti hanno necessità di lavorare, ma registreremo anche in quel caso una sensibilità differente rispetto agli italiani».

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