Paolo Polli e la protesta dei ristoratori: «Non mi muovo da qui finché non esce il decreto»

La battaglia del ristoratore in sciopero della fame all’Arco della Pace: «Il Governo dia una mano al settore. Delivery e asporto sono una goccia nell’oceano»

«Non mi muovo da qui finché non esce il decreto». L‘espressione sul viso di Paolo Polli è inflessibile, determinata e non lascia trasparire nessuna emozione nella sua voce.

 

Paolo Polli e la protesta dei ristoratori: «Non mi muovo da qui finché non esce il decreto»

Paolo Polli
Paolo Polli

Il ristoratore milanese, con quattro locali tra Milano e la Valtellina, e 38 dipendenti che «non stanno prendendo la cassa integrazione e per questo li sto aiutando io» precisa, da mercoledì 6 maggio – giorno del flash mob, seguito dalla pioggia di multe da 400 euro – è fermo davanti all’Arco della Pace.

Il racconto. «Sto facendo lo sciopero della fame come forma di protesta», prosegue Polli. Le richieste al Governo sono molto precise: «In questo momento abbiamo il 100% delle spese, a fronte di una previsione di solo il 20% dell’incasso – evidenzia -. Anche se il locale è chiuso, bisogna sempre pagare suolo pubblico, utenze, affitto, dipendenti e molto altro. Se fossimo a pieno regime, questi costi sarebbero coperti, ma così no: a queste condizioni è meglio non aprire proprio. Per questo chiediamo al Governo di dare la possibilità, ai padroni dei muri dei nostri locali, di non pagare le tasse; a noi, invece, di ridurci spese come il suolo pubblico, spazzatura e le utenze».

Paolo Polli: «Il delivery non è la soluzione»

Futuro. Sul distanziamento all’interno dei ristoranti: «Ci sono, addirittura, alcune voci sul distanziamento di 4 metri. Questa cosa sarà difficile da tagliare, per via del coronavirus, ma almeno ci vengano incontro: ad esempio non prevedere il distanziamento, o ridurlo al minimo, tra gli stessi familiari che vengano al ristorante».

I servizi delivery o take away non sono la soluzione perché «sono una goccia nell’oceano: tutte le attività, alla fine, vanno sempre in perdita con questi servizi – spiega -. Pizzerie e sushi riescono ad utilizzare questo servizio, ma come potrebbe un ristorante che fa, ad esempio, il risotto alla milanese? Questa via non è la panacea di tutti i mali ed è mossa solo dalla disperazione dei ristoratori che pur di vedere 100 euro in cassa, ci provano».

Infine sulla multa: «Spero che il buon senso del Prefetto e della Questura ce le faccia togliere» conclude.