Una prima occhiata al Merlata Bloom potrebbe portare a dire: «Cemento, ancora cemento». Vero, tutto vero e innegabile. Ma se Milano è considerata la metropoli italiana della moda, del design e dell’innovazione, di certo non lo ha fatto dicendo no alla cementificazione che ha portato alla nascita di, tra gli altri, studi di moda e atelier, via Tortona e hub innovativi.
Perché partire etichettando a priori il Merlata Bloom come un’oasi nel deserto?
Chi ha investito tempo e denaro parla di una moderna oasi verde, noi possiamo dire che, forse, se proprio non è verde pisello, perlomeno è verde acqua. Che sempre verde è, con sfumature differenti. E, guardando da altre angolazioni, il bello c’è e si vede: nell’architettura della struttura, significativa svolta per il futuro urbano e culturale della città, simbolo di come possano convivere in armonia strutture e ambiente. Certo, definirlo un inno al verde urbano forse stona (ma non stinge), ma l’offerta di spazi aperti, aree verdi e soluzioni innovative per l’efficienza energetica è un primo passo.
Che poi ci sia un incombente problema parcheggi, ad oggi, appare secondario: anche se secondario non lo è affatto. Inoltre, l’apertura di Merlata Bloom è stato un catalizzatore per la rinascita economica. Con i suoi spazi commerciali, uffici e residenze, il complesso ha attirato investimenti, creato tremila nuovi posti di lavoro e stimolato l’economia locale. Perché Merlata Bloom non è solo un’aggiunta estetica al panorama urbano, ma rappresenta un passo verso un futuro diverso. Forse più verde, sostenibile e culturalmente ricco, di certo diverso e molto europeo.