Ilaria Capua, l’infettivologa spiega il coronavirus: «Situazione seria, ma panico sotto controllo»

L’infettivologa Ilaria Capua (University of Florida) invita alla calma: «Il quadro è figlio di misure che non si erano mai viste prima di oggi»

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Ilaria Capua

Intervista a Ilaria Capua. La paura del coronavirus cresce giorno dopo giorno. E sta cambiando la quotidianità di milioni di cittadini, fra scuole chiuse, partite di calcio annullate e interi paesi isolati.

 

Ilaria Capua, l’infettivologa spiega il Coronavirus

Eppure una parte del mondo scientifico continua a invitare alla calma, spiegando che la malattia è pericolosa e va tenuta sotto controllo. Ma anche che la psicosi dilagante rischia di fare moltissimi danni.

Cerca di mantenere i toni bassi anche la virologa italiana Ilaria Capua, che negli Stati Uniti dirige il One Health Center of Excellence dell’University of Florida.

«Stiamo assistendo alla diffusione di una sindrome simil-influenzale causata da Coronavirus. E se si iniziasse a chiamare questa situazione così, già le persone si tranquillizzerebbero», è la premessa d’obbligo.

Ilaria Capua: «Forse neanche in guerra si era chiuso tutto così»

Come è possibile che nell’arco di pochi giorni l’Italia sia diventato il terzo Paese al mondo per numero di contagi?
«L’incremento del numero di positività è dovuto al fatto che adesso si sono iniziati a cercare i casi, un mese fa per chi aveva sintomi respiratori la diagnosi era di influenza. Adesso con i test diagnostici, la ricerca attiva a ritroso dei contatti e dei movimenti dei pazienti, è chiaro che il numero di episodi aumenta».

Tutto questo terrore è giustificato?
«Bisogna ricordare che siamo di fronte a una forma lieve. Sottolineo che si dovrebbe iniziare a chiamare sindrome simil-influenzale da coronavirus per non spaventare le persone».

Eppure, come dimostrano anche le scene viste nei supermercati, la gente è estremamente spaventata…
«Si è creata questa situazione perché sono state prese misure mai viste prima di oggi. Forse neanche in guerra si era chiuso tutto così: le scuole, i cinema, le chiese. Ci sono Comuni interi con i cittadini costretti a stare serrati in casa, e posti di blocco per evitare gli spostamenti».

Come siamo arrivati a questo punto?
«L’allarme è salito esponenzialmente in seguito a misure prese per rimediare agli errori delle prime settimane, quando per uno stolto pregiudizio ideologico non si sono ascoltati né i governatori del Nord né gli allarmi dei virologi, i quali chiedevano la quarantena per chiunque arrivasse dalla Cina».

Come reagire adesso?
«Bisogna prima di tutto accettare la situazione di emergenza, la convivenza con il pericolo, lo stop o il rallentamento al nostro ritmo di vita. La storia dell’umanità è fatta anche di queste cose, di interruzioni della normalità che si chiamano pestilenze, terremoti, alluvioni. E questa del Coronavirus, come confermano i dati sulla mortalità, non è certo una delle peggiori».

Come si fa a tenere sotto controllo la paura?
«Bisogna convivere con questa situazione usando la ragione. E’ evidente la sproporzione fra il coprifuoco e il pericolo. Ma ormai era necessario prendere provvedimenti così. Stiamo comunque parlando di una malattia dalla quale quasi sempre si guarisce. Questa può diventare anche l’occasione per allenarci di più alla solidarietà».

Ma a questo punto come si fa a contenere il contagio?
«Basta che ci sia una persona che sa di essere malata e che va al cinema o allo stadio e da un contagio se ne possono infettare mille. Per ridurre i casi occorre stare il più fermi possibili. Non c’è spazio per l’improvvisazione e le polemiche perché la forza della catena è determinata dall’anello più debole. Ci prepariamo a una emergenza importante, adesso più che mai è fondamentale che ognuno faccia quello che può».

Cosa può fare un cittadino comune?
«Serve una responsabilità collettiva, che vuol dire stare a casa e gestire questa situazione nel modo più intelligente possibile. Rispettando le ordinanze e le decisioni assunte per contrastare l’emergenza».

Cosa può fare, invece, il mondo produttivo?
«Le aziende che hanno la possibilità di far lavorare i propri dipendenti con il telelavoro devono cominciare a pensarci seriamente. Questa no è una situazione destinata a risolversi in una settimana. Si tratta di un’infezione che, dopo essere arrivata anche in Italia, farà il giro del mondo, creando problemi nei Paesi più poveri. Bisogna organizzarsi al meglio».

Cosa dire invece delle fake news dilaganti?
«Sento che girano, fra le altre cose, messaggi vocali cretini per spaventare o ridicolizzare la situazione. Si tratta di comportamenti ingiustificabili».

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Ilaria Capua