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28. 04. 2024 10:57

Coach Diamantini, obiettivo Olimpiadi: «Il nostro triathlon si trova a un bivio»

Passione, resistenza, tenuta mentale: sono i capisaldi di uno sport sottovalutato, che pur raccoglie quattro pass olimpici per Parigi. Parla il coach del DDS 7MP Triathlon Team: «Meno social per arginare le fragilità degli atleti»

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Negli sport di endurance si va controcorrente rispetto al pensare comune. A confermarlo è Simone Diamantini, 53 anni, milanese. Professione? Coach di triathlon. «È più importante la quantità che la qualità», sottolinea il tecnico che nel DDS 7MP Triathlon Team, tra gli altri, allena gli azzurri Bianca Seregni e Michele Sarzilla.

Triathlon, intervista a coach Simone Diamantini

A che punto è la loro preparazione in vista dei Giochi?
«Michele è il primo nel ranking italiano e mondiale, Bianca è la seconda italiana nel ranking olimpico, ma prima in quello mondiale. Entrambi hanno buone possibilità, saranno decisive le prossime gare».

Quanti posti ha il triathlon per Parigi 2024?
«Quattro, due per le donne e altrettanti per gli uomini. I pass femminili se li giocano, oltre a Seregni, altre atlete che ho allenato in passato: Steinhauser, Betto e Zane. Sono orgoglioso di tutte e quattro».

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Quanto è facile (o difficile) allenare i giovani?
«È complicato, sono estremamente più fragili e volubili dei ragazzi di 10-15 anni fa. Gli uomini, in particolare, sono più profondi, ma più fragili e insicuri e hanno bisogno di un maggiore supporto. In generale, poi, come tutti i ragazzi di oggi sono attenti, troppo, ai commenti negativi che ricevono sui social, come se fosse la realtà».

Simone Diamantini
Simone Diamantini

A che punto è il triathlon in Italia?
«È diffuso, ma ad un bivio: da una parte c’è il mondo no draft Iron Man frequentato dagli age group e la distanza olimpica molto più difficile. Penso che in questa fase dovremmo cavalcare l’onda della popolarità e far diventare questo sport e le persone che ci lavorano più “importanti”. Magari con un albo allenatori».

Com’è la vita di un allenatore di triathlon?
«Bella, ma anche qui complessa. Spesso sei lontano da casa e dagli affetti, considerati qualcosa di scontato, ma che scontati non sono. Sul campo raggiungi momenti di grande gioia, ma sei anche legato ai risultati degli atleti…».

Cosa le piace di più di un atleta?
«Dico sì alla determinazione e all’apertura mentale. Non mi piacciono, invece, la chiusura mentale e la diffidenza».

Gli atleti di triathlon si allenano tutti i giorni, non c’è riposo?
«Il triathlon è uno sport di endurance e si basa sulle ore di lavoro svolte. Non è l’allenamento di qualità che rende importante la settimana, a fare la differenza è la quantità di ore che l’atleta riesce a sostenere».

Come mai ha scelto il triathlon?
«Mi è sempre piaciuto lavorare negli sport individuali. Ho scelto il triathlon perché mi sono innamorato di questo sport ai tempi dell’università. Ho iniziato con i giovani e poi è stato un crescendo fino ai Pro. Ora è vita».

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