Talmente forte da superare anche il nazismo. Talmente forte da essere ebreo di famiglia (lo era la madre, lituana di nascita) e poter giocare nella Germania del Terzo Reich. Rudi Ball è passato alla storia dell’hockey ghiaccio per essere stato un fenomeno della disciplina, tanto da essere inserito nella Hall of Fame della Federazione Internazionale nel 2004.
Rudi Ball, gli anni a Milano
Una storia particolare, la sua, in cui ha avuto un ruolo anche la città di Milano. Quando infatti scattarono le leggi razziali, Rudi e i suoi due fratelli, Gerhard e Heinz, decisero di lasciare il Paese natale e portare le proprie abilità prima a Saint Moritz nel 1933 e poi agli allora Diavoli Rossoneri nel ’34. Nel capoluogo lombardo Rudi, bronzo olimpico nel 1932, vincerà due scudetti e altrettante Spengler Cup. Da protagonista.
Giochi. Arrivate le Olimpiadi di Berlino ’36, Ball era ritenuto uno degli elementi di punta espressi dal movimento tedesco, impossibilitato a giocare per ragioni politiche. Fu allora che Gustav Jaenecke, nazionale e grande amico di Ball, minacciò di non scendere in campo nel caso in cui fosse stato impedito al connazionale.
La voglia di vincere travalicò anche l’odio razziale: in un incontro avvenuto (pare) a margine della finale della seconda Spengler Cup vinta con Milano, Ball raggiunse un accordo con alcuni emissari del Reich per disputare i Giochi. In cambio sarebbe potuto tornare in patria a giocare senza subire violenze e la famiglia avrebbe potuto lasciare la Germania.
Rudi Ball, gli ultimi anni
La spedizione olimpica finì con un magro quinto posto, complice un infortunio della stella appena tornata in gruppo. Due gol in quattro gare non bastarono per essere determinanti ai fini di un buon torneo. I nazisti mantennero comunque la parola. I parenti partirono per il Sud Africa, raggiunti qualche anno dopo (nel 1948) dallo stesso Ball per avviare l’hockey nel Paese. A Johannesburg restò fino alla morte, nel 1975.
