“True mothers”, la recensione
Dopo la sofferenza causata da una serie di trattamenti della fertilità senza successo, Satoko e suo marito Kiyo Kazu decidono di intraprendere la strada dell’adozione. Sei anni dopo aver adottato un bambino, Satoko ha lasciato il lavoro per concentrarsi completamente sulla famiglia, che vive un’esistenza pacifica. Ma un giorno, una telefonata minaccia la felicità di Satoko e il delicato equilibrio trovato.
Una donna di nome Hikari, madre biologica di Asato, vuole indietro il figlio o dei soldi… True Mothers conferma le grandi qualità di Naomi Kawase, già nota ai cinefili per chicche come Suzaku e Mogari no mori. Liberamente ispirato al romanzo Asa ga Kuru di Mizuki Tsujimuri, è un viaggio attraverso le stagioni, una storia sulla forgiatura del destino, una lussureggiante rielaborazione visiva condita da angoscia e dramma. La Kawase esplora territori già noti, ma qui c’è qualcosa in più, in particolare da un punto di vista formale.
La fotografia di Yuta Tsukinaga e Naoki Sakakibara è eccezionale, ma a fare la differenza è soprattutto il montaggio di Tina Baz, Yoichi Shibuya e Roman Dymny, che detta un ritmo lento, chiaro e inconfondibile. Qualche riserva, invece, sulla sceneggiatura.
Già in sala
Paese: Giappone, Francia
Durata: 139 minuti
Regia: Naomi Kawase
Genere: drammatico
Voto: 7