Quando si parla di sicurezza c’è sempre il rischio che l’emotività e la percezione, determinate da fatti recenti avvenuti in Stazione Centrale a Milano e da stati d’animo contingenti più che da dati concreti, condizionino il dibattito portando a conclusioni talvolta più esagerate rispetto alla situazione reali. Possiamo quindi affrontare la questione partendo dal presupposto che Milano non è il Bronx, non è una città in cui i livelli di guardia sono stati superati, non viviamo in un “Far West” senza regole e senza legge. Dall’altro lato sarebbe altrettanto sbagliato non vedere i molteplici segnali preoccupanti, specialmente in alcune zone della città.
Stazione Centrale a Milano, un caso non isolato che ha bisogno di maggiore attenzione
Il caso più eclatante è quello della stazione Centrale a Milano. Parliamo spesso di diritti delle donne: uno di questi sarebbe quello di non dover aver paura a scendere da un treno alle 10.00 di sera e dover tornare a casa con i mezzi affrontando situazioni di oggettivo pericolo, non solo percepito. Vista anche la cronica mancanza di taxi (già, anche la presenza o meno di un servizio come quello dei taxi può incidere sulla sicurezza e la percezione di essa, a dimostrazione che il tema è molto più complesso e comprende diversi ambiti).
Certamente la stazione Centrale a Milano è un tema cittadino, che riguarda l’ambito “repressivo”, ovvero la maggior dotazione di forze dell’ordine in zona e la capacità di perseguire i reati commessi. Ma anche il lato “costruttivo”: ovvero un grande piano di riqualificazione, che preveda anche un aiuto alle tante marginalità sociali che la città di oggi produce in modo sempre più vistoso. Marginalità che dovremmo cominciare a guardare negli occhi. Perché anche se facciamo finta che non esistano, prima o poi ci dobbiamo fare i conti.