Ogni anno arriva la celebrazione della settimana europea della mobilità, comunemente definita sostenibile. Una denominazione che stride con l’attuale approccio tradizionale, chiaramente insostenibile; lo dicono i dati, che vedono la mobilità al centro di molte discussioni e, purtroppo, spesso agli onori delle cronache più per aspetti negativi che per altro. Quest’anno, oltretutto, è particolarmente doloroso constatare che questo evento si svolge in un contesto alquanto difficile.
La settimana europea della mobilità e i ciclisti morti in strada
È doloroso ricordare che dall’inizio dell’anno, nella fervente e prolifica Milano, cinque persone in bicicletta, quattro donne e un uomo, sono state uccise da altrettanti camion in manovra durante il lavoro. Una sesta vittima, un’anziana donna, è stata travolta da un furgone in retromarcia mentre camminava. La settima vittima è avvenuta lunedì, investita da un veicolo di Amsa. Il fenomeno delle auto lanciate ad alta velocità sembra inarrestabile e incontrollato, con una o due vittime al giorno, solo nella mia città. Bambini, adulti, anziani: nessuno è esente dal rischio di finire sotto le ruote di un guidatore, indipendentemente dalla scelta del mezzo.
Se lasciamo bicicletta e abbiamo paura di andare in strada
Recentemente i risultati di una ricerca della Makno hanno rivelato che una quota significativa di persone sta abbandonando la bicicletta come mezzo di trasporto urbano, con una percentuale del 20%. Questo è il risultato di una situazione immutata nel campo dell’automobilismo e di una decrescita significativa nella mobilità ciclistica. È una prospettiva che molti attivisti avevano già previsto anni fa: se il numero di ciclisti aumenta ma non cambia nulla sulle strade, aumenteranno anche le vittime. Negli anni 2000, quando il fenomeno della Critical Mass è stato introdotto in Italia, rappresentando il primo esempio di rivendicazione radicale delle strade e una critica profonda al sistema economico, sociale e antropico in generale, è emerso il timore che, se la presenza di ciclisti aumentasse senza cambiamenti nelle strade, il numero di incidenti mortali sarebbe cresciuto. Da allora a oggi, nulla è cambiato sulle strade italiane.
L’auto privata e la difesa del proprio spazio
Il modello prevalente è ancora quello dell’auto privata e della difesa a oltranza del proprio spazio, con la convinzione che possiamo guidare come vogliamo perché abbiamo pagato il veicolo e nessuno ha il diritto di dirci cosa fare. Continuare a organizzare convegni, incontri e pedalate per celebrare la Settimana europea, che a Milano si è appena conclusa, non è solo offensivo, ma è diventato qualcosa contro cui difendersi, come se fosse un’aggressione.
Il cambiamento va accompagnato, ma servono azioni concrete
Chiare le obiezioni di chi dice: «Partecipare è utile per diffondere la cultura della mobilità anche tra coloro che non pensano che il cambiamento sia possibile». Ma questi sono temi, frasi, parole che si ripetono da oltre vent’anni e la situazione è addirittura peggiorata, complice anche una politica (non solo locale, ma anche nazionale) che sembra aver sottovalutato il problema. Ecco, la soluzione è proprio questa: in Italia, dovremmo organizzare una Settimana europea della mobilità per diffondere la cultura della mobilità. Ma anche tra i politici e gli amministratori.