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26. 04. 2024 12:15

In marcia per Mahsa, la testimonianza: «A Teheran basta una risata per essere arrestati»

La manifestazione per la ragazza arrestata in Iran perché non indossava l'hijab in modo corretto e morta tre giorni dopo in circostanze ancora misteriose. Intanto il murale di Marge Simpson davanti al consolato viene rimosso in tempo record. L’artista: «Un atto vile, da codardi»

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Con ogni probabilità i poliziotti iraniani non immaginavano che la morte di Mahsa Amini, la ragazza arrestata lo scorso 13 settembre a Teheran perché non indossava l’hijab in modo corretto e morta tre giorni dopo in circostanze non chiarite, potesse promuovere una sollevazione internazionale che ha coinvolto i governi democratici e l’opinione pubblica.

Per la prima volta la comunità iraniana che vive all’estero ha incontrato il sostegno di cittadini, associazioni, partiti politici di ogni colore: la protesta per la dignità delle donne negata dal regime iraniano ha acquistato in fretta altri significati diventando un potente alleato nei confronti degli iraniani che nella loro patria manifestano per la libertà e la democrazia.

In marcia per Mahsa, la mobilitazione a Milano per le donne iraniane

Milano si è distinta in questa mobilitazione con una prima iniziativa il 26 settembre in piazza Cairoli e, in modo particolare, con quella di sabato scorso in piazza della Scala che ha radunato centinaia di persone, non solo iraniane ma anche italiane. Tutto è partito da un gruppo di giovani iraniani che vivono in città, molti sono studenti universitari.

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Come spiega Moji, da sette anni a Milano e tra i promotori delle agitazioni, i contatti con la madrepatria sono precari, quasi impossibili, anche se qualche notizia riesce a trapelare: «Il governo ha bloccato internet: sappiamo che è incorso una dura repressione, ci sono molti arresti. Tutti noi abbiamo una famiglia, siamo preoccupati ma non ci fermiamo: abbiamo deciso di continuare a manifestare a volto scoperto, oggi non abbiamo più paura come in passato».

Una nuova sensibilità. Un’altra novità di rilievo è rappresentata dal rapporto con gli italiani. Spiega la giovane iraniana: «C’è una sensibilità nuova, adesso sono loro che ci cercano, vogliono stare al nostro fianco, marciare assieme nella nostra unica strada possibile per fare cambiare il regime in Iran».

La testimonianza di un’iraniana a Milano: «A Teheran basta una risata per essere arrestati»

Più che dall’analisi degli esperti a volte si capisce di più di una realtà così lontana dalla nostra ascoltando la testimonianza di chi l’ha vissuta. Niloofar, che ha passato due terzi della sua vita in Iran e il resto a Milano, racconta quali sentimenti sta vivendo e cosa significa vivere nel suo Paese di provenienza in un periodo così drammatico.

Partiamo delle tue origini.
«Sono nata 31 anni fa a Esfahan, una città con una storia importante, abitata da 1.600.000 abitanti e situata nel centro dell’Iran».

Quando ti sei trasferita in Italia?
«Nel 2014, avevo 23 anni».

La ragione del trasferimento?
«Volevo studiare in Italia».

Quali sono i ricordi legati al periodo iraniano?
«Ho ricordi misti, alcuni belli altri brutti».

Cominciamo da quelli belli.
«Avevo molti amici che frequentavo con assiduità, avevamo i nostri ritrovi».

Hai sempre vissuto a Esfahan?
«No, a 18 anni sono andata Teheran, per frequentare l’università ho effettuato l’esame di ammissione: è andato bene, ho studiato fotografia, in particolare mi sono specializzata in fotogiornalismo».

Sei diventata una giornalista?
«Collaboravo con diverse testate, ma ho fatto anche cinema come fotografa».

Com’era Teheran?
«Mi trovavo bene, avevo molti amici, però allora si viveva un periodo diverso rispetto a quello di oggi».

Quali sono i ricordi brutti?
«Sono legati alla polizia, ti fermava per futili motivi».

Per esempio?
«Una volta eravamo usciti dal cinema con amici, eravamo euforici e ridevamo. All’improvviso arriva la polizia e ci dice: “Perché ridete?”».

Com’è andata a finire?
«Era sera tardi, ci hanno portato in questura, hanno convocato i nostri genitori e il giorno dopo siamo finiti in tribunale di fronte a un giudice che ci diceva: perché avete riso per strada? E’ stata una situazione surreale, per fortuna ci hanno lasciato andare via».

Come spieghi questo episodio?
«Ci hanno voluto mettere paura, ricordo che il giudice ci insultava con le solite volgarità che si rivolgono alle donne».

Ricordi altri episodi del genere?
«Un’altra volta ero con amici, ero uscita dalla casa per fumare una sigaretta, è arrivata un’auto della polizia e mi ha portato via senza alcun motivo assieme ad un’altra amica. Ci hanno rilasciato solo a tarda notte».

Portavi il velo?
«Sì, ma non nel modo corretto, non come piace alla polizia. Una volta ero in auto e la polizia mi ha costretto a scendere e mi ha sequestrato il mezzo».

Il motivo?
«Secondo loro avevo la camicia un po’ corta».

Perché hai scelto di venire proprio in Italia?
«Quand’ero piccola mio zio mi portò una macchina fotografica dall’Italia, è stato il mio primo contatto. Io amo tante cose di questo paese, il cibo, la musica, i film».

Qual è la differenza più grande tra Italia e Iran?
«La libertà, qui si può fare tutto alla luce del sole, in Iran bisogna farlo di nascosto».

C’è differenza tra le persone?
«Una in particolare che riguarda Milano: qui sono tutti veloci, anche al bar non ci si ferma, in Iran è diverso».

Pensi che in Iran sia in corso un cambiamento?
«Lo spero, ma è difficile: c’è un governo che vuole controllare le donne».

Come vive questo momento la comunità iraniana a Milano?
«Parliamo tanto di quello che sta succedendo, per noi è una situazione particolare perché siamo distanti. Non possiamo combattere in prima linea».

Hai contatti con la tua famiglia?
«È molto difficile».

Come giudichi l’atteggiamento dei milanesi rispetto alle vicende iraniane?
«Ho ricevuto molta solidarietà che mi ha commossa, anche sul lavoro sono stati tutti molto comprensivi: il mio capo mi ha pure offerto di prendermi una pausa».

Hai partecipato alle manifestazioni?
«Sì, c’era tantissima gente, molti italiani: credo che sia dovuto al fatto che stiamo manifestando per i diritti umani, perché ci sono di mezzo le donne».

Oltre 1.700 iraniani in città, parecchi sono universitari

Non è semplice fare una mappa della comunità iraniana. Partiamo dai numeri che sono l’elemento più certo: secondo dati Istat del 2021, in città si contavano 1.723 cittadini iraniani con 804 uomini e 919 donne. Se consideriamo la provincia di Milano, ci sono 2.641 persone che provengono dall’ex Persia, i maschi sono 1.284 mentre le donne sono leggermente di più 1.357.

Rappresentano il 70% delle presenze in Lombardia e poco meno del 20 di tutta la comunità italiana. Un gran numero è composto da giovani, si tratta di studenti che frequentano in particolare Politecnico, Bicocca e Statale. È soprattutto il Politecnico ad attirare studenti e ricercatori, ben 749 e 54 nell’anno accademico 2019/20 con una forte presenza maschile nella facoltà di ingegneria che si ribalta per architettura e design, dove è netta la prevalenza femminile.

Di solito gli studenti trovano le abitazioni nei dintorni, hanno buoni rapporti con i milanesi che, però, sono frenati dalla lingua: oltre alla madrelingua parlano l’inglese ma non praticano molto l’italiano. Ci sono le dovute eccezioni, molti iraniani sono ben inseriti e parlano con speditezza la nostra lingua.

Studenti a parte. Oltre agli studenti c’è un’altra fascia di popolazione di età più grande, alcuni sono arrivati con la grande migrazione che si ebbe dopo il 1979 in seguito alla rivoluzione che depose lo Scià di Persia e instaurò la repubblica islamica. Svolgono attività legate al commercio – in particolare si occupano di prodotti tipici della loro terra – e al settore della ristorazione con locali che offrono cucina iraniana.

Un aspetto significativo dei giovani che studiano nei nostri atenei e che non hanno nessuna intenzione di tornare in patria, per loro ci sono due possibilità una volta conseguito il diploma di laurea: restare a Milano oppure recarsi in un paese anglofono. Un fatto che dovrebbe fare riflettere le autorità di Teheran.

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Ci sono proteste simboliche che provocano più effetti di quelle materiali. Con questa intenzione il presidente della Triennale di Milano Stefano Boeri ha lanciato un’iniziativa di protesta pacifica contro gli omicidi e le violenze che stanno avvenendo in Iran. Dal 28 settembre donne e anche uomini hanno lasciato una ciocca dei propri capelli, legata con un filo di corda, in un apposito contenitore nell’atrio del Palazzo dell’Arte.

Boeri ha spiegato che si tratta di «un atto che si ispira a quello coraggiosamente compiuto dalle donne iraniane nelle piazze delle principali città. Le ciocche raccolte verranno consegnate al Consolato Generale della Repubblica Islamica dell’Iran, come gesto pacifico di protesta contro la violenza omicida della polizia e di solidarietà con chi in questi giorni rischia la propria vita per difendere il diritto inalienabile alla libertà individuale».

In questa direzione va anche un’altra iniziativa intitolata The Cut, la nuova opera di AleXsandro Palombo (foto in copertina, ndr) in cui Marge Simpson taglia i suoi iconici capelli davanti al consolato generale della Repubblica Islamica dell’Iran a Milano. Il murale contro il regime di Teheran ritraeva Marge Simpson che tiene in mano forbici e chioma per celebrare il coraggio delle donne iraniane e omaggiare Mahsa Amini. “Ritraeva”, già, perché ieri è stata rimossa: «Un atto vile, un gesto di codardia – ha commentato l’artista –. Il fatto che sia avvenuto in un Paese democratico come l’Italia è di una gravità assoluta».

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