La maglia rosa è come un’opera d’arte. Devono averlo pensato anche gli organizzatori del Giro d’Italia che hanno scelto la Pinacoteca di Brera per presentare il simbolo della più importante corsa a tappe ciclistica del nostro Paese e non solo.
Alla presenza di un mito dei pedali come Vincenzo Nibali, che ha autografato una casacca portata due volte in trionfo nel 2013 e nel 2016, è andata in scena una cerimonia di svelamento a cui non poteva mancare Mauro Vegni.
È stata l’occasione giusta per parlare con il direttore della corsa rosa del rapporto con Milano che storicamente ha spesso ospitato l’arrivo dell’ultima frazione ma che neanche quest’anno vedrà sfilare per le sue strade i campioni del mondo del ciclismo. Strano paradosso per una metropoli che sembrerebbe puntare sempre di più sulle due ruote a livello di mobilità.
Giro d’Italia, tre domande a Mauro Vegni
Possiamo dire il Giro d’Italia è partito da Milano?
«Sì, dai (ride, ndr). Siamo in una sede milanese di prestigio e quindi possiamo dire che in qualche modo partitemo da qui».
Come mai neanche quest’anno il Giro d’Italia terminerà a Milano?
«Dobbiamo dire che l’arrivo del Giro d’Italia non è sempre stato obbligatoriamente a Milano, però l’ha fatta da padrone. È ancora la città in cui più volte si è chiusa la corsa rosa. Poi alcune strade capita che si dividano e ognuno ha fatto le proprie scelte ma questo non vuol dire che Milano sia completamente cassata da quello che è il progetto del Giro. Diciamo che per quest’anno non c’è ma nessuno dice che non possa esserci prossimamente».
Quando tornerà il Giro qui?
«Per il 2025 sarà ancora difficile visto che abbiamo un accordo per tre anni con Roma e quindi dovrebbe rientrarci. Dal 2026, che sarà anche l’anno delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina, si può cominciare a ragionare».
