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26. 04. 2024 03:24

Stringiamoci forte per la Giornata mondiale dei genitori: perché siamo a rischio allarme

Nella Giornata mondiale dei genitori, proviamo ad analizzare le mille facce di un rapporto - quello con i figli - che la pandemia ha inevitabilmente trasformato. A Milano, forse, un po’ di più

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GM: non giovani marmotte (magari potessimo tornare ai tempi spensierati di quando eravamo figli), neanche General Motors (pur non avendo mai spento il motore), né general manager (benché il ruolo sia tutto sommato simile per difficoltà organizzative), neanche Genio militare (anche se abbiamo attinto all’arte guerresca per predisporre il campo di battaglia casalingo in questo anno e mezzo) e nemmeno Guardiamarina (però quando mettiamo in tavola i bastoncini di merluzzo salvacena un po’ capitan Findus ci sentiamo).

Essere genitori a Milano

Genitori Milanesi, eccoci qui. In questo anno e mezzo abbiamo a volte un po’ rimpianto di aver preferito la città alla villetta con giardino nell’hinterland, e abbiamo dovuto affrontare i Savonarola al balcone che ci accusavano perché portavamo la nostra prole a prendere una mezz’ora d’aria intorno al palazzo.

Pensavamo che fosse più comodo abitare vicino all’ufficio, alla scuola, ai cinema, ai locali dove poter fare colazione in famiglia o un aperitivo prima di tornare a casa, insomma che comoda Milano quando si hanno figli: ci siamo ritrovati nei nostri bi o trilocali, pagati quanto l’attico di Trump a New York, pregando che la connessione reggesse i sette device collegati tra didattiche online, zoom di classe, call di lavoro, progetti da spedire.

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Abbiamo imparato a spegnere le videocamere durante i meeting di lavoro, per evitare che i nostri colleghi ammirassero il fratello che litiga con la sorella, il bimbo che si scappera mentre illustriamo un budget.

Di certo ci siamo sentiti molto soli, non abbiamo mai avuto la sensazione che le istituzioni ci fossero vicine: a noi e ai nostri figli. Ogni giorno riflettiamo sul tempo perso dai nostri ragazzi. Chi ha figli adolescenti si interroga sugli effetti di questa pandemia a medio-lungo termine.

In più, se lavoriamo da casa non abbiamo nemmeno diritto al bonus babysitter. E se siamo mamme, siamo ancora più svantaggiate. Ma siamo Genitori milanesi: giustamente un po’ arrabbiati, ma sempre resistenti. Buona giornata a noi. Ah, questo articolo è stato scritto con una mano mentre una bimba era in braccio al suo papà.

Cristina Pinazza è mamma di cinque ragazzi, dagli 8 ai 15 anni: «Mi chiedono sempre se sono tutti miei…»
di Katia Del Savio

Cinque figli dagli 8 ai 15 anni. Il segreto di mamma Cristina Pinazza, che lavora a tempo pieno al Politecnico di Milano, assieme a papà Alessandro De Palma, avvocato, è «non avere troppe pretese e aiutare i ragazzi a essere autonomi».

Cristina, in tal senso, si sente appoggiata anche dalla comunità: «Abitiamo a Greco, con amici sia legati alla scuola che alla parrocchia. Anche se non siamo di Milano, ci hanno accolti come se vivessimo qui da sempre. Durante il lockdown è stato commovente vedere i vicini di casa che ci portavano i pasticcini ogni domenica».

Ha sempre sognato di avere una famiglia numerosa?
«Si, anche perché sia io che mio marito siamo figli unici».

Come siete visti dagli altri?
«In modo strano. Mi chiedono sempre se i figli sono tutti miei e quando rispondo di sì, mi danno della coraggiosa».

Come fate?
«Bisogna dare ai figli molta fiducia. Li seguo molto, però su alcune cose lascio correre, faccio quello che riesco. Loro crescono con l’idea che devono adattarsi, perché essere in tanti non è facile. Sanno che non possono avere le stesse attenzioni che avrebbero se fossero figli unici. Spero che da grandi non me lo rinfacceranno…».

I grandi aiutano i piccoli?
«Spesso controvoglia: non siamo la famiglia del Mulino Bianco. Nei momenti di difficoltà, però, ci sono. A marzo abbiamo avuto il Covid. Il primo a risultare positivo è stato il più grande, che abbiamo dovuto tenere isolato. I fratelli gli hanno dimostrato tanto affetto infilandogli messaggini sotto la porta. L’anno scorso, durante il lockdown più duro, il fatto di essere in tanti ha aiutato: abbiamo giocato tutti insieme e fatto tante feste di compleanno».

Com’è andata con la Dad?
«Durissima: per tutto il giorno eravamo attaccati a pc o telefonini. Mentre ero in smart working, dovevo aiutare i più piccoli a seguire la Dad. Penso che conciliare queste due cose sia impossibile per qualsiasi famiglia».

Cosa vi piace fare a Milano tutti insieme?
«Camminare e andare in bici. Amiamo anche girare per musei e andare al cinema. Ieri sono salita sulle guglie del Duomo con uno dei miei figli, perché quando posso mi prendo una giornata di ferie da dedicare ogni volta solo a uno di loro».

E le chat delle mamme?
«Ho tantissime chat, ma le leggo poco. Vorrei provare ad abbandonarle tutte e vedere fino a che punto sono indispensabili».

Il demografo Rosina: «Milano costosa ed esigente,difficile creare una famiglia»
di Giovanni Seu

La geografia delle famiglie di oggi è complessa e a Milano lo è ancora di più. Ci sono almeno sette tipologie che dimostrano come la società sia diventata articolata e sempre più mobile: ne parliamo con Alessandro Rosina, scrittore e demografo.

Perché questo quadro così frastagliato?
«La scelte di diventare genitori è complicata in un mondo in trasformazione al quale si è aggiunta la pandemia che ha aumentato le responsabilità e i carichi».

A Milano oltre la metà delle famiglie riguarda i monocomponenti, ovvero i single: perché?
«A Milano, come in tutte le grandi città, la situazione è ancora più complessa rispetto ai centri medio-piccoli. Il dato è di grande entità e ha tre spiegazioni: l’invecchiamento della popolazione che crea anziani soli, vedovi e separati, l’instabilità coniugale e le difficoltà a coniugare lavoro e figli».

Quanto influisce il lavoro sulla scelta di realizzare una famiglia?
«I giovani dedicano gran parte del loro tempo al lavoro, più che in altre città perché le aspettative sono più elevate, non ci si accontenta. Bisogna poi considerare che essere genitori è molto impegnativo sotto diversi punti di vista».

Non solo dal punto di vista economico?
«La scuola, le attività extrascolastiche sono costose ma non è tutto: ci sono i rischi, più alti rispetto a quelli che si vivono nelle piccole comunità, che obbligano i genitori a una maggiore attenzione sulle scelte dei figli, sulle loro abitudini e frequentazioni».

La famiglia classica è ancora centrale?
«Sì, perché la figura del figlio nei progetti di vita delle persone è al centro ma si è indebolita nelle relazioni orizzontali, che riguardano la coppia, dove è forte l’instabilità. E sono cambiate anche le relazioni verticali, tra padre e figlio».

Come si può sostenere la famiglia?
«Come fanno in Francia o nei Paesi scandinavi dove c’è un sostegno sulle spese, le informazioni, la qualità della vita».

Può bastare?
«È un contributo, anche se una città come Milano resta complessa: le scelte sono più libere che da altre parti».

Il neuropsichiatra infantile Seragni: «Servono strumenti morali
per affrontare il mondo»

Se essere genitori è uno dei mestieri più difficili del mondo, esserlo in pandemia è una vera impresa.

La Giornata mondiale dei genitori conduce, in tal senso, ad una maggiore riflessione sul rapporto genitori-figli sviluppato nell’ultimo anno: «Il ruolo dei genitori è difficile in generale, non solo da dopo la pandemia – specifica il dottor Giorgio Seragni, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta dell’età evolutiva all’Ospedale San Raffaele Turro –. Bisogna combattere con tante necessità, ad esempio correre sempre e mantenere lo stesso livello sociale degli altri. E spesso i genitori non sono in grado di riparare i ragazzi da tutto questo».

Quali sono le maggiori difficoltà di chi è genitore, oggi?
«I genitori sono abbandonati a loro stessi dalle istituzioni, dal welfare, dalla società che non rispetta il genitore e il bambino. Viene a mancare il concetto di comunità educativa per l’eccessivo soggettivismo di tutti, la società non aiuta più ad accudire il bambino come succedeva in passato, ci sono meno stimoli e si va verso un isolamento continuo. I genitori sono più deboli e i figli cercano altrove figure forti che trovano nei social, ad esempio».

Come si è modificato il rapporto genitori-figli nel post pandemia?
«Non è cambiato molto, abbiamo solo perso un’opportunità: quella di passare molto più tempo insieme ai nostri figli e insegnare loro a comunicare meglio. Quello che ci hanno imposto era il distanziamento fisico, non quello relazionale».

Come affrontare, allora, il mestiere più difficile di tutti?
«Con buon senso e dando il giusto peso alle cose, senza fare drammi ed educando al rispetto i ragazzi. I genitori devo spingerli verso la socialità, l’autonomia, devono insegnare a chiedere aiuto e a non aver paura del giudizio. Il ragazzo insicuro è più facilmente vittima di bullismo. Ma dare sicurezza al bambino non significa tenerlo sotto una campana, bisogna renderlo capace di affrontare le singole situazioni. Abbiamo fornito mascherine e guanti per affrontare questo momento, ora dobbiamo dare ai figli anche degli strumenti morali per affrontare il mondo».

Lavoro doppio,abbracci doppi: storia di un papà social e in smart working
di Luca Talotta

Immaginate la scena: papà influencer e docente universitario, costretto a lavorare da casa causa pandemia. Non un giorno, ma mesi. Mesi nei quali le due perle nate dal tuo bellissimo matrimonio, angioletti che necessitano di attenzioni avendo, rispettivamente, 2 e 5 anni, appaiono alle tue spalle durante la lezione o si inseriscono, incuriosite, nei tuoi video da pubblicare sui social.

Così tutti i giorni così, a tutte le ore. Che fare? Fuggire da mamma e suocera, perlomeno per le lezioni universitarie (tanto loro vedono faccine al pc, che al loro apparire sorridono gioiose, ma non ne comprendono l’impegno); per il resto, cercare la convivenza.

E, perché no, far diventare il tutto un gioco. La giornata del genitore social – e in smart working – per necessità fila via in questo modo, tra un abbraccio (anzi due, che altrimenti la “non ricevente” l’abbraccio si arrabbia), un gioco, una lezione al computer e un video da girare tutti assieme.

Perché essere famiglia vuol dire anche questo: condividere tutti i momenti, lavorativi e non. Ma lasciatemelo dire: la pandemia ci ha permesso anche di riscoprire i legami familiari più stretti, quelli irrinunciabili.

Perché se è vero che da una parte sei costretto a rifare un video mille volte, a ripetere la battuta perché la piccola piange o a doverti forzatamente spostare per poter trasmettere i concetti ai tuoi studenti, è altrettanto vero che quando stacchi la spina hai le tue gioie più grandi lì, a portata di mano. E non puoi fare altro che abbracciarle, baciarle e stringerle forte a sé.

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