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27. 04. 2024 04:32

Un nuovo capitolo per Ghemon: «A giugno, il momento perfetto»

Il bello per Ghemon comincia proprio adesso: E vissero feriti e contenti è un nuovo capitolo della sua musica nel nome della soulful house. E di una sempre più spiccata maturità

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È uscito venerdì il nuovo album di Ghemon, E vissero feriti e contenti, nuovo capitolo del percorso artistico del cantante di Avellino, ormai milanese di adozione, reduce dalla partecipazione all’ultimo Festival di Sanremo con Momento perfetto, singolo che ha riscosso ottime critiche fra gli addetti ai lavori. Sempre in movimento, mai uguale a se stesso, il bello per Ghemon comincia proprio ora.

Partiamo da Piccoli brividi, che da sola tocca diversi territori musicali come all’interno di un’opera teatrale. Tutta produzione tua?
«In questo caso sì, anche perché era partita solo voce e piano, poi con il mio bassista Fabio abbiamo iniziato a cambiare un po’ di cose. Quindi è intervenuto un altro nostro collaboratore con cui abbiamo continuato a fare esperimenti, nei quali però tenevo sempre la barra dritta per “salvare” il senso che mi interessava veicolare. E quindi, se abbiamo portato a casa questo pezzo è per l’idea finale del brano che avevo ben chiara in testa».

Nel mio elemento è senz’altro il brano di rottura dell’album. È evidente la tua nuova anima artistica.
«È il primo pezzo di questo disco che ha visto la luce. Mi ha fatto capire che era già iniziata “un’altra cosa” che nell’album precedente non c’era. E non perché fosse migliore o peggiore del passato. Semplicemente ho capito che era iniziata una nuova fase, un’altra storia».

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Credi di aver finalmente trovato una quadra?
«Quando ho fatto questo pezzo era giugno, due giorni dopo è nata Momento perfetto e due giorni dopo ancora è arrivata La tigre. Tutto, in pratica, nel giro di una settimana. Da lì ho iniziato a farmi qualche domanda sul futuro e ho capito che avrei avuto a che fare con un suono più evoluto».

Quali sono i riferimenti ritmici a cui ti ispiri?
«Dirò la verità: con Simone Privitera, con cui ho lavorato alla produzione del disco, è nato tutto in modo molto casuale. Abbiamo gusti simili, non siamo andati a cercare quell’artista rispetto a quell’altro. Non è mai successo in nessuna sessione che, prima di lavorare, scegliessimo a tavolino su che tipo di produzione concentrarci».

La tigre è l’esempio lampante di come la soulful house sia pienamente nelle tue corde. Parli di quotidianità, di gelosia immotivata che, però, non condanni e, anzi, cerchi di comprendere.
«Tutte le pieghe dei rapporti vanno raccontate, quindi ogni tanto c’è anche quella sorta di gelosia immotivata che può scatenarsi da noi o dai nostri partner. La posso avere io, la può avere la mia compagna. In tutte le coppie può succedere, anche in quelle più collaudate».

E il lavoro che fai non aiuta certo in questo…
«Esattamente (sorride, ndr). Ma non ne parliamo proprio, che è meglio. Tanto la gelosia dipende dai trascorsi che ognuno ha. Se uno è stato tradito nella vita e non per forza in una relazione di coppia, ma magari da un amico o da un genitore, l’amarezza segna anche i rapporti futuri».

Nuovi temi per nuova musica.
«Musicalmente parlando, tutto era era già iniziato nel disco precedente. Questo è un altro passo. Tornando a La tigre, la cosa più difficile da imbastire sono state le strofe perché è complicato associare quella melodia alla lingua italiana. Se l’avessi ascoltata in inglese, non ti sarebbe parso granché di strano…».

 

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