Verso il derby, Daniel Maldini visto da Filippo Galli: «Un talento naturale»

Filippo Galli, per dieci anni alla guida delle Giovanili del Milan, racconta la crescita dei ragazzi: «Avevamo ideato un approccio metodologico e siamo stati i primi a pensare ad un calcio formativo»

daniel maldini
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Sotto i suoi occhi sono cresciuti talenti veri. Già, perché di fatto Filippo Galli è stato il regista di un periodo per certi versi irripetibile riguardo alla valorizzazione dei vivai italiani. Da responsabile del Settore Giovanile del Milan, incarico ricoperto per dieci anni fino a giugno 2018, ha “allevato” gente come Gigio Donnarumma, Davide Calabria, Manuel Locatelli, ma anche Mattia De Sciglio, Simone Verdi, Andrea Petagna. Tra questi “pulcini” c’era anche Daniel Maldini, freschissimo di esordio in Serie A, domenica scorsa nel match interno contro l’Hellas Verona. «Lui ha un talento naturale», spiega Galli a Mi-Tomorrow.

 

Daniel Maldini, intervista a Filippo Galli

filippo galli
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Daniel è un predestinato?
«Non mi piace questa definizione. Preferisco parlare delle sue qualità e del suo talento, che si notavano fin da bambino. E’ stato bravo a lavorarci, con fisiologici alti e bassi».

Quali sono le sue caratteristiche migliori?
«E’ un giocatore che vede le linee di passaggio che altri faticano a vedere. Diciamo che è uno di quegli elementi che vedono il calcio prima di altri. Ciò gli consente di stare sempre in partita».

Un cognome così pesante vuol dire sentire il peso di una responsabilità maggiore?
«Sicuramente portare il cognome di Maldini può condizionare, ma dipende sempre dal contesto. Nel Settore Giovanile avevamo sempre cercato di dargli le stesse attenzioni e lui aveva dimostrato di essere un ragazzo disponibile. Poi non tutti i giocatori sono uguali».

In che senso?
«Sfatiamo il luogo comune secondo cui tutti i giocatori sono uguali e vengono trattati allo stesso modo. Quando abbiamo tra le mani un talento, dobbiamo dedicargli un’attenzione particolare. Non sto facendo riferimento a Daniel in particolare, ma ad un modo di lavorare generale».

Di quale talento va più orgoglioso?
«Ho visto crescere ragazzi straordinari, ma, se devo fare un nome, dico Manuel Locatelli».

Perché lui?
«E’ quello che aveva caratteristiche da giocatore importante, da leader. Nel calcio professionistico non aveva mostrato fino in fondo queste doti, ma ora le sue prestazioni sono di grande livello, sia con la palla tra i piedi, sia a palla lontana. Ha ancora 22 anni e la sua crescita non è finita, ma, intanto, per la sua svolta devo fare i complimenti a Roberto De Zerbi e alla famiglia, sempre presente e mai invadente».

Il calcio italiano riesce ad aspettare i giovani?
«E’ difficile dirlo, perché sono gli allenatori quelli che dovrebbero mostrare pazienza e coraggio. Al club e al responsabile del settore giovanile spetta il compito di preparare al meglio i ragazzi senza rischi eccessivi. Diciamo che la verità sta sempre nel mezzo».

Ma la Serie A è un campionato per talenti?
«Al momento vedo l’Italia ancora distante dalla Germania e dall’Inghilterra che hanno fatto un percorso formativo per consentire ai giovani di emergere in maniera più completa».

Qual è stata la ricetta vincente del vostro metodo?
«Non mi piace chiamarlo metodo, ma approccio metodologico. Siamo stati i primi a pensare ad un calcio formativo: cominciammo nel 2012 e oggi vediamo quei principi di gioco ormai utilizzati dai grandi club e da tutte quelle squadre che propongono un calcio moderno».

Che cosa significa?
«Vuol dire lavorare bene sul palleggio e sulla costruzione del gioco da dietro. In questo senso al Milan siamo stati sicuramente innovatori e precursori».

Come si cresce un talento?
«Accompagnandolo passo dopo passo in tutto il suo percorso formativo. Per far crescere un giocatore serve la partecipazione di tutti: gli allenatori, i preparatori atletici e i genitori che sono una risorsa».

A patto che non siano invadenti…
«Certo, ma sono fondamentali nella prima scelta del ragazzo. Si sceglie una società come quando si sceglie una scuola, conoscendone il piano dell’offerta formativa».

Si è sentito un secondo padre per qualcuno di loro?
«Non esageriamo, ma con alcuni ho stretto un rapporto molto diretto, a volte duro. La capacità di un dirigente è capire quale relazione instaurare con i singoli per costruire insieme le regole, senza farle calare dall’alto».

I social possono essere deleteri?
«Non possiamo pensare di vietare l’uso dei social ai ragazzi. Viceversa, si può condividere un percorso rispetto alla responsabilità. Il corretto utilizzo di questi strumenti passa da una conoscenza giusta: vuol dire rendere consapevoli i ragazzi che i post rimangono e che le prese di posizione non si cancellano col tempo. Resto convinto che serva di più prevenire e non vietare».

Daniel Maldini, il profilo

Si è preso la ribalta domenica scorsa grazie all’esordio in Serie A contro l’Hellas Verona. Daniel Maldini, classe 2001, è la terza generazione di Maldini a vestire la maglia del Milan da professionista.

Da tempo ormai nel giro delle convocazioni in Prima Squadra, è un centrocampista che predilige il piede destro e la posizione dietro alle punte. In Primavera, nel corso di questa stagione, ha collezionato 12 presenze tra campionato e Coppa Italia, segnando otto gol e regalando cinque preziosi assist.

daniel maldini
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