Sono passati più di 600 anni da quando il Brunelleschi si inventò il capolavoro del Portico degli Innocenti. Più della cupola del Duomo, è quello il simbolo della svolta moderna della “prospettiva lineare”. Una prospettiva che portava dritto alla ruota, in cui il bimbo o la bimba abbandonato/a trovavano nuova vita e nuova speranza, proprio lì dove si incrociano le rette verso quel punto immaginario in cui sembrano destinate a toccarsi. L’apice della cultura umanista, la comunità che accoglie, la città che si prende cura.
Sono passati più di 600 anni e invece di custodire questa memoria di umanità la ribaltiamo, in nome del dio della contemporaneità: la visibilità sui social. Quale violenza stiamo compiendo, infatti, nei confronti di una madre che ha fatto una scelta dolorosissima, complicata, straziante, quella di affidare alla comunità il suo bimbo? Perché non la lasciamo in pace? Perché, per sentirci migliori degli altri, più buoni, più giusti, continuiamo a riempire pagine web di video e appelli? Per di più, dall’alto del nostro essere benestanti, ricchi in cerca di approvazione pubblica che si propongono di aiutare la ‘povera’ madre.
Senza domandarci se tutto questo fiorire di indelicati appelli non finisca per essere controproducente: uno strumento che dovrebbe garantire l’anonimato e che serve a salvare delle vite che viene trasformato in uno dei peggiori show della contemporaneità. C’è il rischio che un’altra madre possa non avvicinarsi a quella ruota salvifica, che non voglia finire in quel marasma e miasma di moralismi acchiappa like.
Lasciamo in pace questa donna, rispettiamo la sua scelta, il suo dolore, la sua riflessione. E, soprattutto, rispettiamo un prezioso strumento, questa ruota senza tempo, che senza anonimato, senza quel necessario silenzio rischia di perdere la sua estrema efficacia, il suo essere sicura ancora di salvezza. Per una volta non giudicare, non doversi per forza esprimere. Servirebbe un sano silenzio, prima forma di vera pietas.
