«Tà Bonu!», spopola il culurgiones bar di Antonello Rais

La traduzione di «Che buono» in sardo dà il nome al primo culurgiones bar di Milano, voluto da Antonello Rais: «L’intuizione è di mia madre, il primo amore non si scorda mai»

Una via di di mezzo tra un raviolo e uno gnocco, direbbe un frettoloso occhio milanese. In realtà la descrizione dei culurgiones, piatto della tradizione sarda, è molto più articolata e la spiega con orgoglio Antonello Rais, proprietario del neonato Tà Bonu! di via Fabio Filzi 15, il primo culurgiones bar di Milano: «Sono dei ravioli di pasta fresca che la tradizione sarda vede come frutti da dedicare alla dea madre. Questo perché rappresentano un involucro che all’interno contiene i figli del raccolto: patate, menta e formaggi. Il culurgiones d’Ogliastra nel 2017 ha ricevuto il marchio IGP e si riconosce per la classica chiusura detta “a spighitta” che ricorda la spiga di grano».

 

Ta Bonu, la cucina secondo Antonello Rais

Rais, nato a Lanusei in provincia di Nuoro nel 1983 vive a Milano da 5 anni, qui ha trovato l’amore, avuto una figlia e creato un importante business prima con i centri Bangkok Benessere Thailandese e ora con il ristorante Ta Bonu! che significa «Che buono». Un locale in cui lo spirito sardo si sprigiona non solo dal menù, ma perfino dai muri realizzati con la terra cruda di Villasimius lavorata a mano.

Com’è nata l’idea di aprire un culurgiones bar?
«Ora gestisco dei centri benessere, ma vengo da una ventennale gavetta nel mondo della ristorazione. Siccome il primo amore non si scorda mai ho deciso, grazie ad un’intuizione di mia madre, di portare a Milano un prodotto tipico sardo che riuscisse ad essere gradevole per tutti i palati, dai bambini agli anziani».

Cosa rappresenta il culurgiones?
«Sicuramente la tradizione sarda, ma anche la pasta fresca, la genuinità dei prodotti e l’artigianalità. Lo abbiamo scelto perché è un prodotto semplice ma sano. È composto solo da farina e acqua proprio come la pizza, un piatto che l’Italia ha esportato in tutto il mondo».

Come avete affrontato l’emergenza che vi ha costretto a rinviare l’inaugurazione?
«Avevamo programmato l’apertura lo scorso 6 aprile. Con il lockdown, già a marzo il cantiere si è fermato. Ovviamente abbiamo vissuto momenti di ansia, ma ci siamo rimboccati le maniche e appena abbiamo avuto la possibilità di far ripartire i lavori abbiamo recuperato il tempo perduto riuscendo a completare il locale in tempi record».

Che misure avete adottato per riaprire in sicurezza?
«Abbiamo seguito le linee guida del Dpcm, rilevamento della temperatura all’ingresso, conservazione per 14 giorni delle prenotazioni, i clienti devono avere la mascherina dall’ingresso fino al tavolo. Abbiamo diversi dispenser igienizzanti nel locale, lo staff indossa mascherina e guanti».

Teme che la crisi possa continuare a colpire la ristorazione?
«Sicuramente non sarà un periodo semplice, noi ci troviamo in zona stazione Centrale dove il 90% del business per i ristoranti arriva dagli uffici. Peccato che in questo momento una grossa fetta di lavoratori sia in smart working. Siamo consapevoli di partire con determinate difficoltà, ma al tempo stesso siamo fiduciosi e crediamo di poter compensare con i nostri servizi di asporto e di delivery. Abbiamo un prodotto di qualità, punteremo molto sui social e ce la faremo».

A che tipo di clientela vi rivolgete?
«È molto variegata. Dalle famiglie al business man in pausa pranzo, fino alla giovane coppia che vuole festeggiare da noi l’anniversario».

Oltre ai culurgiones cosa offre il menù?
«Puntiamo sulle rivisitazioni dei piatti della tradizione sarda come i malloreddus alla campidanese e il raviolo di nonna con all’interno ricotta e spinaci. Poi, sfruttando la scia del successo che il poke sta avendo a Milano, ne abbiamo messo in menù uno con la fregola chiamato Sardinian poke. Infine non mancano taglieri di salumi e formaggi sardi e le spianate, che ricordano una piadina, ma che all’interno dell’impasto hanno le patate che le rendono più morbide. Abbiamo cercato fin da subito di coniugare tradizione e innovazione».

In che modo?
«Le nostre casse sono integrate con un sistema di tracciabilità chiamato trackyfood che permette al cliente, tramite qr code, di vedere tutto il percorso del cibo e sapere perfettamente ciò che sta mangiando. Per quanto riguarda il servizio, invece, abbiamo un sistema totalmente automatizzato per prenotazioni dei tavoli, ordini in delivery e in asporto. In futuro renderemo automatiche anche le ordinazioni al tavolo tramite smartphone con notifiche push che avvisano il cliente quando il piatto è pronto».

L’idea è quella di creare una catena di ristoranti?
«Sì, l’obiettivo è avere tre aperture a Milano nei prossimi due anni per poi estendere il franchising anche all’estero».

Milano è ancora una buona città per aprire un’attivita?
«Milano è l’unica città in cui mi sentirei sicuro di aprire una attività. Tutti gli studi, compreso il business model canvas applicato su Tà Bonu!, dicono che Milano è l’unica economia trainante italiana».

Tà Bonu!

Via Fabio Filzi 15, Milano
Dal martedì alla domenica
dalle 12.00 alle 15.00
e dalle 19.00 alle 23.00
tabonu.it