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26. 04. 2024 21:48

Adesso parliamo noi: la penna torna agli studenti del liceo “Donatelli Pascal”

Mi-Tomorrow cede le sue pagine ai ragazzi del liceo "Donatelli-Pascal": i loro punti di vista sul mondo segnato dalla pandemia

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Nuovo appuntamento nel mondo studentesco ai tempi del Covid, in collaborazione con il liceo “Donatelli-Pascal” di viale Campania: Mi-Tomorrow offre le sue pagine ad una redazione di diciassettenni tra paure del presente e speranze per il futuro

Amore al tempo del Covid

di Giacomo Grillo

L’amore al tempo del Covid-19 è difficile, molto. Ne parlo perché questa cosa mi colpisce personalmente, ho una ragazza e stiamo insieme da tre anni. L’unico problema? Lei abita a Firenze, io a Milano. La situazione è critica da marzo, ma fortunatamente questa estate avevano allentato un pochino la presa permettendo a tutti di spostarsi fra le regioni. Ora che le hanno (giustamente) richiuse, siamo daccapo.

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Penso sia la cosa peggiore per me. Certo, non ho tutti i problemi che hanno purtroppo le persone con un lavoro o che devono mantenere una famiglia, ma posso assicurare che questo momento non è piacevole. Il fatto di pensare se riuscirò a rivederla, quando, con che modalità, mi spaventa molto.

A Natale. Non avrei mai pensato che una sola persona potesse sconvolgere così tanto la vita di un’altra, renderla così semplice quando c’è e molto meno quando manca. Mi conforta il fatto che, quando ci si rivedrà, le emozioni saranno sicuramente diverse, più forti. Sono sicuro che sarà uno dei nostri migliori incontri. Tra poco è Natale: chissà se il governo, Fontana, Sala ci permetteranno di riunire le famiglie, i congiunti e i parenti, ovviamente salvaguardando chi è più a rischio come i nonni.

Anche perché, bisogna dirlo, l’amore non è solo quello che si prova verso il proprio partner: l’amore è più ampio e passa dagli amici ai familiari, fino a tutti coloro che si hanno vicino. L’amore è una cosa magnifica e spero tanto che chi ci governa non imponga limiti tanto restrittivi in un periodo così tanto atteso.

Che cosa ho capito

di Miriam Papetti

Penso che il virus ci possa portare a dare importanza a quei piccoli gesti che un tempo ci sembravano banali: un abbraccio, un bacio, una passeggiata all’aria aperta. Sono una persona che dà molto peso a queste “piccolezze”, mi è capitato più volte di desiderare che anche le persone che mi circondano la pensassero come me, purtroppo non succede quasi mai.

Al giorno d’oggi la superficialità comanda la società, per questo motivo credo che la pandemia potrebbe anche averci portato ad apprezzare maggiormente tutti quei momenti che un tempo facevano parte della nostra quotidianità. Non solo: il virus potrebbe portarci ad un maggior amore verso il prossimo. Ogni volta che compiamo il semplice gesto di indossare la mascherina, nel nostro piccolo, contribuiamo a salvare delle vite. Penso che questa esperienza ci possa anche insegnare a stare bene con noi stessi. In molti, a marzo, si sono ritrovati soli e a non poter parlare con nessuno fisicamente.

Amicizie, egoismi. In fondo tutti, allora, eravamo più soli. Ma quella solitudine può averci aiutato ad avere una maggiore consapevolezza in noi, anche perché alla fine una cosa è certa: tutti dobbiamo convivere con noi stessi per tutta la vita. Personalmente, grazie a questa quarantena, sono riuscita a coltivare passioni che avevo trascurato per colpa dei diversi impegni. Ho iniziato a dipingere.

Ho recuperato amicizie trascurate, più per mancanza di tempo che per noncuranza verso la persona. Allo stesso tempo, purtroppo, la pandemia ci ha fatto perdere amicizie che un tempo reputavamo importanti. In conclusione, mi sento di dire che questo virus ci ha dato tutti i presupposti per migliorarci. Ma nulla mi toglie la convinzione che la nostra società rimarrà sempre incatenata al proprio egoismo.

L’altra faccia della pandemia

di Giacomo Gazzaniga

Chiunque abbia vissuto il 2020 nel cuore della pandemia può sostenere di averle viste tutte. E, come ogni situazione creatasi all’improvviso, in totale emergenza, una buona parte della popolazione nutre un sentimento di diffidenza verso chi ci informa quotidianamente. Ci sono due tipi di notizie, che alla fine identificano due fazioni: chi tiene la conta dei nuovi contagiati, delle vittime e degli ingressi nelle terapie intensive e chi sostiene le nuove teorie complottiste. Ognuno di noi ha elaborato una sua teoria sul Covid-19.

Un pensiero, di per sé, non è un problema, ma lo diventa se va ad ostacolare il lavoro dei sanitari. «Negazionisti a caccia di ambulanze a bordo di un suv: “State girando a vuoto. Non c’è nessuno dentro”». È solo uno dei titoli letti nelle ultime settimane. Chi pensa questo dovrebbe esporre le sue idee ai familiari delle 50mila vittime italiane: sarebbe un dialogo interessante.

Bolla dei misteri. E non finisce qui: ci sono anche altre teorie complottiste oltre il negazionismo, ma tutte queste – almeno – concordano sull’esistenza del virus. Fatto che, a mio parere, è da mettere fuori discussione. Non dico non sia lecito che sorgano dei dubbi: siamo in una bolla di misteri, ci sono moltissime domande a cui non si riesce a rispondere e, probabilmente, questi dubbi rimarranno senza risposta per molto tempo.

Ma credo anche che in questo periodo difficile, uno dei più difficili di sempre e assolutamente trasversale per il genere umano, dobbiamo farci forza l’un l’altro, tenere duro, rispettare le misure restrittive e sperare nella fine dell’emergenza il prima possibile. Solo allora, solo in una fase successiva potremo dedicarci a cercare risposte ad alcune domande ancora ignote. La prima delle quali è abbastanza scontata: «Dove è nato il virus?».

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