«Non sono una manager, né un’agente». Manuela Ronchi ci tiene a ribadirlo. Perché riuscire a spiegare la particolarità del suo lavoro non è impresa semplice: «Mi occupo di comunicazione, di pubbliche relazioni e di gestione dell’immagine dei personaggi».
Manuela, infatti, negli anni ha soprattutto intessuto relazioni e intrecciato legami, con personaggi pubblici (ma non solo). Basati sempre sulla fiducia reciproca. Imprenditrice milanese, ha fondato nel1995 Action Agency, specializzata nella produzione di eventi e nella gestione di personaggi sportivi e televisivi, tra i quali Max Biaggi, Marco Pantani, Alberto Tomba, Maurizia Cacciatori, Gianmarco Pozzecco, Linus, Marco Tardelli e Adriano Panatta.
Tutto ciò è racchiuso nel suo libro Le relazioni non sono pericolose: l’importanza dell’incontro all’epoca dei social, edito da Gribaudo – Feltrinelli editore, e disponibile in libreria e in tutti gli store digitali. L’opera è scritta a quattro mani con Simona Recanatini, e introdotta dalla prefazione dell’amico giornalista Federico Buffa. Ricordi e aneddoti che vanno a creare una sorta di manuale pensato per chi vuole “fare” o capire le pubbliche relazioni.
Qual è il percorso che l’ha portata fin qui?
«Sono partita con il sogno di diventare insegnante di inglese, anche perché ho sempre amato viaggiare. Mi sono iscritta in Lingue e Letterature Straniere all’Università Cattolica di Milano e già lì si è manifestato il mio desiderio di libertà. Essere libera di scegliere e ascoltarmi, grazie anche al supporto dei miei genitori. Non mi sono dovuta adeguare a un modello, come era più comune fare in quegli anni, ma ho soverchiato quello stile. Ad esempio, se ho scelto l’inglese come prima lingua all’università, il russo è stata la mia seconda lingua. Il mio mantra è: trova sempre il tuo elemento differenziante».
Come ha proseguito?
«Ho provato a insegnare, ma ho scelto altro. Ho viaggiato moltissimo e ho sempre studiato facendo pratica. Gerry Scotti mi ha intercettata e mi ha insegnato a fare comunicazione, lì mi occupavo di eventi e ho avuto modo di approfondire la mia rete di relazioni. Ho lavorato con Linus, Federica Panicucci, Max Biaggi. Nel ’95 ho fondato la mia agenzia e l’ho chiamata Action: sottolineando l’importanza di porre il pensiero in azione».
Qual è stata la filosofia?
«Organizzare eventi con attenzione alla produzione dei contenuti, seguendo gli insegnamenti di Gerry. La forma la do per scontata. La differenza è portare in campo il linguaggio televisivo e tenere un’audience anche dal vivo. Tutto deve parlare la stessa lingua e creare armonia».
Tutti questi personaggi hanno scelto per rappresentarli una ragazza “comune”, una donna. Cosa che, in particolare 20-30 anni fa, non era affatto scontata…
«Esatto. Hanno deciso di affidare la gestione della loro immagine e la capitalizzazione di quei diritti e a me. Per primo ho incontrato Max Biaggi. Man mano la mia rete si è allargata e mi sono ritrovata a lavorare con i numeri uno di tutti gli sport individuali. Eppure non ero Briatore. Tante volte mi sono chiesta come mai scegliessero me, e negli anni mi sono data la risposta. Avevo dentro di me sia la “mamma” che la “manager”: nella mamma trovavano la fiducia, l’autenticità della relazione, e nella manager la competenza e la professionalità».
Finché ora non è arrivata questa pubblicazione.
«La mia agenzia è cresciuta, finché Feltrinelli mi ha chiesto un libro su tutti i personaggi che avevo gestito. Qui emerge che la relazione è sempre stata al centro. E che non è pericolosa, ma è il cuore della vita».
Le relazioni non sono pericolose, un titolo audace al tempo del Covid…
«Sì, e non ho voluto cambiarlo nonostante l’emergenza sanitaria. Perché il distanziamento sociale è altra cosa rispetto alle relazioni, che invece sono fondamentali. Relazioni di cui oggi si sente la mancanza: a causa del Covid ma anche, ancor prima, a causa dei social network».
Come si sviluppa il libro?
«Senza seguire un ordine cronologico, ho cercato di ricostruire quali sono stati gli snodi più importanti della mia vita. Il libro è una overview su alcuni miei concetti fondamentali. In primo luogo la maieutica. Va rispettato e mai tradito il pensiero delle persone. Racconto il personaggio per com’è, cerco di comunicare la sua essenza. Non cerco di trasformarlo secondo un piano di marketing. Il libro è diventato poi una biografia funzionale (come l’ha definita Federico Buffa, ndr), in cui racconto i miei incontri. Alla fine metto l’esperienza in azione e spiego come da ogni incontro ho tratto qualcosa. È un po’ come un manuale delle pubbliche relazioni».
Tra i capitoli principali c’è quello dedicato al Pirata…
«La storia di Marco Pantani è nel tessuto narrativo. Nel capitolo dedicato a lui ho preferito raccontare aneddoti su chi era l’uomo, perché mi piacerebbe che la gente si ricordasse di lui per chi era veramente. Era un’anima sensibile, bella e ho sempre cercato di parlarne e trattare la sua immagine come so che gli sarebbe piaciuto».
Pensi che Milano sia un buon terreno per le pubbliche relazioni?
«Milano è il più grande teatro per le pubbliche relazioni che abbia mai conosciuto. Forse anche a livello internazionale. È una città cosmopolita, che mi ha dato la possibilità di tessere legami e conoscere tantissime persone. Alla base di tutto però bisogna sempre metterci curiosità e umiltà. E Milano non ti mette in un angolo, ma apre alla relazione».