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29. 04. 2024 17:46

Benvenuti al Museo della forchetta, Scafuro: «Prendo qualcosa che non ha valore e grazie all’arte lo recupero»

A Porta Genova si nasconde l’atelier di Giovanni Scafuro con oggetti d’arte realizzati con posate, piatti, pezzi di lampade: «Mi definisco un trasformatore»

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Il sorriso di chi ama ed è orgoglioso del proprio lavoro è visibile al Museo della forchetta. La dimostrazione letterale di come in certi contesti ci si debba per forza sporcare le mani per ottenere successo. L’evoluzione di un’idea vincente. Giovanni Scafuro, cinquantaduenne originario di Napoli, è l’ideatore di un particolare spazio creativo in via Bergognone 3 a Milano: «Ho usato la forchetta come mezzo di sperimentazione, approfondendo sempre di più l’argomento. Poi le persone, invece di vederci un laboratorio, hanno iniziato a dire: “Ma questo è un museo!”. Da qui il Museo della forchetta. Non ci sono pezzi storici, ma rivisitazioni e approfondimenti di idee. Racconto un momento, un’emozione, col ricordo della mia infanzia. Abitavo in un borgo scollegato dal mondo, il mare era l’elemento più interessante di tutti».

Da Giovanni Scafuro nasce il Museo della Forchetta: «Ho avuto un foglio bianco e ci ho scritto sopra. Una forchetta diventa un polipetto, due piatti un’alzatina.»

Museo della forchetta
 

La forchetta non è la sola protagonista delle sue opere.
«Io uso tutte le posate. E anche altro, come parabordi, pezzi di lampade, piatti spaiati. Lo studio sulla forchetta, inteso però come studio su tutte le stoviglie, è interessante perché la forchetta è sempre stata così. Tutti se la ricordano uguale, al massimo con piccole variazioni. Mi piace trasformare le posate. La mia attività è molto trasversale, sono più di 32 anni che svolgo questo lavoro».

Un lungo percorso.
«Sono stato a contatto con molti architetti e parecchi artigiani, apprendendo da loro varie tecniche. Questo mi permetteva di sperimentare. E metterne poi a frutto il lavoro realizzando vari oggetti, che successivamente nel corso degli anni venivano venduti a vari negozi, non solo in Italia, ma anche in Olanda, Usa, addirittura in Giappone. Poi la mia crescita artistica si è consolidata. Venivo sempre a Milano per il Fuori Salone, così ho iniziato con gli oggetti di design e a sperimentare in quel settore».

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Cosa le ha dato Milano?
«Intanto i clienti, che sono una parte fondamentale del mio mestiere (ride, ndr). Sono venuto a Milano per la mia compagna, poi è nata mia figlia. Qui però il lavoro porta tantissime soddisfazioni, è una città internazionale, vendere arte a Milano ti permette di essere connesso con ogni parte del mondo».

Da lei si trova di tutto.
«Ci sono oggetti che vendo a 5 euro, altri a 5mila. Io li coloro, li saldo, li ambiento. Mi definisco un trasformatore. Prendo qualcosa che non ha valore e grazie all’arte lo recupero, conferendo una nuova vita e un nuovo status. Il Museo della forchetta prima si chiamava Oggetti insoliti. Ci sono quadri, gioielli, sedie, lampade. E tanto altro. Alla fine le posate sono diverse l’una dell’altra, non ce n’è una uguale, ma non mi interessa lo siano».

Da giovane aveva studiato arte?
«Io nasco come perito tecnico dell’industria elettrica e dell’elettronica. C’è una parte pratica che fa parte del mio attuale lavoro. Ma di artistico non c’era niente, diciamo che mi sono “infettato” frequentando questo mondo».

Come reagiscono le persone alle sue opere?
«Lo spazio piace molto, gli oggetti ti permettono di andare fuori dagli schemi. Una forchetta diventa un polipetto, due piatti un’alzatina. Ho avuto un foglio bianco e ci ho scritto sopra. E sono riuscito a far cambiare idea a mio padre».

In che senso?
«Inizialmente mi diceva: “Vai a lavorare all’esattoria comunale”. Io l’ho fatto, ma poi mi sono licenziato. Non faceva per me. In vita mia ho lavorato in un distributore di benzina e in una rimessa di barche, sono stato portiere e autista. Però nessuno di questi mestieri mi soddisfaceva. Non era quello che volevo fare. Oggi sono felice, ho fatto ricredere mio papà, che prima di andarsene mi ha fatto capire come fosse orgoglioso del mio lavoro. Sono appagato. Diciamo che decido io quando andare a pesca. Ed è proprio bello».

 

EVENTI

Al Museo della forchetta vengono organizzate anche cene e aperitivi, per circa 20-25 persone. Di solito vengono servite cinque portate, vino incluso, con prezzi che variano dai 50 ai 70 euro. Si tratta di eventi a tema, dove si mangia con posate del progetto: ForkEat, ossia con oggetti letteralmente trasformati e stravolti da Scafuro. Uno chef esterno prepara pietanze specifiche, perfette per essere gustate (o meno) con quella determinata posata, proprio perché a monte esiste un’idea originale. Si può trovare una forchetta spezzata, con uno snodo al centro, che non può essere utilizzata, ma che viene servita a tavola, proprio per costringere a mangiare quel piatto con le mani. È stato creato un cucchiaio tutto forellato chiamato A chi non piace il brodo. E per concludere c’è anche una sorta di pennino da caffè sul dolce, che consente al commensale di scrivere un messaggio e di condire allo stesso tempo il dessert. Le persone apprezzano provocazione e ironia. E lo stesso vale per gli chef, che amano il gioco, dovendo confrontarsi con le posate.

 

DOVE

Il Museo della forchetta si trova in Via Bergognone 3, a Milano. L’atelier artistico è aperto dal martedì al sabato, dalle 9 .00 alle 19.00 – sempre che Giovanni Scafuro non sia in giro per il mondo a consegnare un’opera e non stia insegnando falegnameria e metallo nei corsi di fronte al proprio laboratorio a bambini dai 7 ai 10 anni – e l’ingresso è completamente gratuito. Vicino alla metro di Porta Genova e ai Navigli, l’ingresso del posto è segnalato molto prima di entrare nel cortile che ospita la struttura. Già per strada infatti si trovano delle forchette colorate sulla pavimentazione che, se seguite, ti portano alla meta. Le opere di Giovanni non si rivolgono a uno specifico gruppo di persone, ma abbracciano davvero i gusti di grandi e piccini. Per ulteriori informazioni: giovanniscafuro.it e le pagine social del Museo della forchetta.

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