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27. 04. 2024 11:58

Vulvodinia è ora di riconoscerla, Murina (Buzzi): «Esistono approcci terapeutici che consentono di risolvere in molti casi la malattia»

Ne soffre 1 donna su 7, ma è spesso ignorata. Guarire si può, in arrivo anche la prima terapia specifica.

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Nel giorno in cui si celebrano le donne, uno sguardo andrebbe dato anche a tutto quello che spesso non viene riconosciuto al mondo femminile, come il diritto alla salute. Per troppi anni una patologia come la vulvodinia è stata ignorata, anche se ne soffre 1 donna su 7 ed esclusa dai LEA, i livelli di assistenza che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire ai cittadini, gratuitamente o con ticket. Oggi è possibile migliorare la qualità di vita di chi soffre di questa malattia grazie alla prima terapia specifica: «La vulvodinia è una condizione frequente, che interessa fino al 15% circa delle donne, con grande impatto nella quotidianità e nella vita di coppia», afferma il prof. Filippo Murina, direttore scientifico dell’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus, Responsabile Servizio di Patologia del Tratto Genitale Inferiore presso l’Ospedale V. Buzzi – Università degli Studi di Milano.

Vulvodinia: ne soffre 1 donna su 7, ma non è riconosciuta dai LEA, guarire si può, in arrivo anche la prima terapia specifica

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Quali sono i sintomi e come si cura?
«I sintomi sono bruciore e dolore nella regione vulvare, con possibile grande difficoltà alla penetrazione nei rapporti sessuali, elemento che talora può rappresentarne l’unico sintomo. L’approccio di cura è multimodale, dove i farmaci, la riabilitazione muscolare pelvica, l’elettrostimolazione trans mucosa del nervo possono essere alcuni dei possibili rimedi per modificare l’anomala percezione della sensibilità genitale».

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Esiste una nuova terapia sperimentata, in cosa consiste?
«La terapia topica a base di spermidina si è dimostrata utile nel ridurre la sintomatologia dolorosa all’ingresso della vagina (vestibolo), zona elettiva del dolore, grazie al suo effetto antinfiammatorio e rigenerante».

Perché per molto tempo la patologia è rimasta nell’ombra?
«Curare la vulvodinia è complesso d articolato, sebbene la diagnosi sia molto semplice da ottenere. Fondamentale è seguire le pazienti in un percorso di cura appropriato e personalizzato».

Quindi si può guarire?
«Oggi abbiamo a disposizione numerosi approcci terapeutici, che consentono di risolvere la malattia in un’elevatissima percentuale di casi».

Se dovesse andare avanti la proposta di legge per inserire questa malattia nei LEA, che cosa cambierebbe?
«L’inclusione della malattia nei LEA consentirebbe di ottenere l’esenzione dalla spesa per le visite e le prestazioni terapeutiche correlate alla malattia, oltre a fungere da stimolo per la creazione di un maggior numero di centri, in ambito di sanità pubblica, dedicati alla cura della vulvodinia».

 

 

3 domande a

GIORGIO FORESTI, amministratore Delegato di Techdow Pharma Italy, l’azienda che lavorerà per sviluppare progetti di ricerca validi a supportare la proposta di legge che mira all’inserimento della vulvodinia nei LEA: «Puntiamo a creare un team per curare al meglio le donne»

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Quali sono i principali bisogni delle donne che soffrono di questa patologia?
«Fondamentale creare nella società una consapevolezza generalizzata sul fatto che la vulvodinia è una malattia reale. Per le pazienti è importante ricevere ascolto e comprensione da parte di uno specialista, in grado di spiegare loro la complessità di questa patologia e di instaurare un dialogo attivo».

Come migliorare la loro qualità di vita?
«L’abbreviazione delle tempistiche di diagnosi e lo stadio della patologia sono rilevanti nella scelta della cura: riuscire a diagnosticare precocemente la vulvodinia renderebbe più efficace la terapia e di conseguenza ne favorirebbe la guarigione».

Avete un progetto che punta alla formazione dei professionisti che si occuperanno di vulvodinia. In che cosa consiste?
«Il nostro obiettivo è implementare dei centri specializzati nel trattamento della vulvodinia, affinché si crei un network di ginecologi, ostetriche e fisioterapisti che faciliti il dialogo e la trasmissione di conoscenza e di esperienza. Un vero team di specialisti, preparati e pronti a trattare le pazienti che soffrono di questo disturbo»

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