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26. 04. 2024 07:10

Napalm Girl sbarca a Milano: «La foto che ha fatto il giro del pianeta»

A Milano la mostra su Nick Ut, autore del celebre scatto nella guerra in Vietnam

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L’8 giugno 1972 Nick Ut, giovane fotoreporter vietnamita dell’Associated Press, riceve una soffiata: ci sarà un attacco aereo su Trang Bang, villaggio nel Vietnam del Sud. Lui si precipita là e trova l’inferno. Le bombe sganciate sono al napalm, una sostanza viscida e infuocata che si appiccica ovunque, compreso il corpicino di Kim Phuc, 9 anni, in fuga disperata, sulla Route 1. Si è strappata via i vestiti incandescenti e urla spalancando le braccia mentre corre insieme ai fratelli e ai cuginetti. Dietro di loro alcuni militari e sullo sfondo il fumo. Nick cristallizza la scena con il suo obiettivo. E quello scatto, intitolato Napalm Girl, diventa il simbolo della guerra del Vietnam e dell’orrore di tutti i conflitti.

Napalm Girl e le altre, a Milano la mostra su Nick Ut

A cinquant’anni dall’immagine icona una mostra promossa da Regione Lombardia omaggia Nick Ut, che ha presenziato all’anteprima dell’evento espositivo a Milano insieme a Kim Phuc, oggi attivista. Curata amorevolmente da Ly thi Thanh Thao e Sergio Mandelli, l’antologica From Hell to Hollywood racconta in 61 scatti 55 anni di carriera del grande fotoreporter.

Oltre mezzo secolo di opere d’arte tra generi diversi che includono, oltre la guerra, paesaggi e una natura ad alto tasso di poesia, gli incendi in California, spaccati di Los Angeles – dove Ut si è trasferito nel 1975 – le celebrità di Hollywood, gli homeless d’America. E, naturalmente, Napalm Girl, che gli valse il premio Pulitzer nel 1973.

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Sergio Mandelli racconta la mostra su Nick Ut e la Napalm Girl

sergio mandelliTra tante foto sue e dei suoi colleghi che documentarono quel giorno del 1972, soltanto Napalm Girl è diventata un’immagine simbolo. Sergio Mandelli, curatore della mostra, parla di una combinazione miracolosa fra caso, storia, intuito e tempestività del fotografo oltre che qualità dei mezzi tecnici.

Com’è riuscito in un momento così tragico a pensarla e a scattarla?

«Poco prima avevo fatto la foto di un bambino in braccio a una donna, ho scattato e un attimo dopo il piccolo è morto. In quel momento ho guardato oltre e ho visto la pagoda sullo sfondo e Kim che arrivava con le braccia allargate. Ho capito che dovevo andarle incontro e in un istante ho visto la storia che c’era dietro».

Lei ha ritratto Kim, ma l’ha anche salvata. Com’è andata?

«Dopo aver scattato la foto mi è passata accanto e ho visto che aveva il braccio e la schiena feriti. Non gliene ho fatte altre perché ero convinto che sarebbe morta. Ho lasciato lì, sulla Route 1, le quattro macchine fotografiche che avevo con me e sono corso verso di lei con due bottigliette d’acqua per versarle sul suo corpo. Ma Kim ha urlato che voleva bere. L’ho presa in braccio e l’ho portata con il mio furgoncino all’ospedale più vicino».

Una foto sull’orrore della guerra può fare qualcosa per un futuro di pace?

«La mia foto ha fatto il giro del pianeta. Quando è stata pubblicata in molti hanno chiamato il mio ufficio per dire che quell’immagine avrebbe cambiato il mondo. Ma oggi la situazione è la stessa. E sono profondamente arrabbiato per quello che sta accadendo in Ucraina.

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