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29. 04. 2024 10:02

Enzo Jannacci visto da Giorgio Verdelli, il documentario a Venezia: «Un’artista tenero e profondo»

Giorgio Verdelli presenta alla Mostra del Cinema il suo lavoro sull’artista milanese per eccellenza: «Enzo è molto sentito anche dai ragazzi»

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Non è una biografia di Enzo Jannacci, ma un’esplorazione del suo mondo insieme ai suoi amici e ai suoi “allievi” di più generazioni»: queste le parole scelte da Giorgio Verdelli per presentare il suo Enzo Jannacci vengo anch’io, documentario selezionato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia in corso in questi giorni.

Il regista ha ripercorso la carriera del genio milanese, che ha scelto di raccontare gli esclusi e ha saputo recuperare e innovare la canzone popolare milanese anche attraverso collaborazioni con artisti come Dario Fo, Giorgio Strehler, Fiorenzo Carpi. Da Roberto Vecchioni al figlio Paolo, passando per Vasco Rossi e Paolo Conte, tanti gli amici a omaggiarlo.

“Enzo Jannacci vengo anch’io”, il documentario di Giorgio Verdelli

Com’è nato questo progetto?
«Il progetto è nato parecchi anni fa. Io sono stato molto legato a Jannacci come persona e come artista. L’ho frequentato da quando avevo 20 anni e l’ho sempre seguito sia per ragioni professionali che per ragioni amicali. Nel 2005 gli feci un’intervista quando venne a Roma per il Primo maggio e mi disse che quella era stata la prima intervista in cui capiva quello che diceva (ride, ndr). Dissi al suo editore di fare qualcosa con quell’intervista, ma per una serie di ragioni non se ne fece nulla. Avvicinandoci al decimo anniversario della sua scomparsa, ho iniziato a lavorare a questo documentario insieme alla famiglia, ai suoi amici e ovviamente alle strutture produttive».

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Milano è centrale nel percorso di Jannacci.
«Certo: non puoi prescindere Jannacci da Milano. È identitario per la città ma non solo della Milano vintage: dai primi riscontri che abbiamo avuto, Enzo è molto sentito anche dai ragazzi, dai giovani milanesi. Lui è stato un grandissimo inventore di frasi, di situazioni e di personaggi. Ho lavorato per diversi anni a Milano, ma mi sono avvalso degli amici di Jannacci e della loro memoria storica. Ho messo insieme i pezzi, ho letto molti libri su di lui e questo è il risultato finale».

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Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e Dario Fo

Cosa ti ha sorpreso?
«In ogni documentario è necessaria un’opera di sintesi e con la carriera di Jannacci ho dovuto fare delle scelte anche dolorose, come eliminare canzoni che amo moltissimo. Frequentandolo, ho scoperto che era una persona attentissima, svagata solo in apparenza. Da questo punto di vista, Vasco Rossi gli somiglia molto».

Quanto è importante “riscoprire” un artista come Jannacci nel 2023?
«È la ragione per cui ho fatto questo docufilm. La cosa che mi dà fastidio è che Jannacci è stato immeritatamente ridotto a “saltimbanco”, a quello della cosa simpatica. Quando in realtà lui ha fatto canzoni profondissime, tenerissime, tragiche come dice Vecchioni nel documentario. La capacità di mescolare il tragico e il ridicolo insieme ce l’aveva solo lui. E poi Jannacci è stato l’inventore del talking blues all’italiana, con la sua naturalezza nel parlare e raccontare una storia cantante: lui è stato il primo negli anni Sessanta. C’è anche un altro dettaglio: Jannacci non cantava mai due volte la stessa cosa e montare un film è un casino (ride, ndr)».

Regia: Giorgio Verdelli

Genere: documentario

Voto: 7,5

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