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06. 05. 2024 20:00

“Le ossa dei Caprotti”, tutto sulla vera storia della famiglia di Esselunga. Con alcuni miti da sfatare

Non solo la storia di Esselunga, ma il ritratto di due secoli d’Italia. Questo e altro è scritto nel libro scritto dal primogenito dell'imprenditore scomparso nel 2016

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Bernardo Caprotti non è stato l’artefice della nascita di Esselunga. L’azienda è stata fondata da un gruppo di manager americani capitanati da Nelson Rockfeller, consigliato a sua volta dalla Cia. Bernardo contribuirà in modo determinante alla crescita di Esselunga, ma solo in un secondo momento. E con il tempo, metterà in ombra tutti coloro che l’hanno resa grande con lui: soci, figli e altri familiari.

Non solo la storia di Esselunga, ma il ritratto di due secoli di storia

Questa, in sintesi, la trama del libro “Le ossa dei Caprotti”, edito da Feltrinelli e scritto da Giuseppe Caprotti, primogenito di Bernardo. Allontanato dall’azienda nel 2004, dopo anni di silenzio e di procedimenti legali, oggi si espone per raccontare la propria verità. Si tratta di un libro storico e documentato in ogni sua parte, ci tiene a precisare l’autore durante la presentazione, avvenuta nella magnifica dimora seicentesca di Albiate (MB), acquistata a fine ‘800 dai fratelli Bernardo, Antonio, Emilio e Giuseppe Caprotti, famiglia protagonista della prima rivoluzione industriale italiana, passata dalla proprietà agricola all’imprenditoria tessile con la produzione di filati di cotone. Una storia italiana, come recita il sottotitolo del libro. Non solo la storia di Esselunga, ma il ritratto di due secoli di storia dell’Italia, con forti ingerenze americane.

Esselunga libro
Esselunga libro

La nascita della Supermarkets Italiani, poi Esselunga

Nel dopoguerra Rockfeller costituisce la Ibec, società che aveva come obiettivo l’apertura di nuove attività imprenditoriali nei paesi in via di sviluppo, tra i quali rientrava l’Italia. James Hugh Angleton, padre di un leggendario agente della Cia e lui stesso collaboratore dei servizi segreti dell’Oss dopo lo sbarco degli americani in Italia, ha un ruolo importante nelle scelte di Rockfeller. L’obiettivo era il perseguimento di una politica anticomunista attraverso il miglioramento del tenore di vita delle persone, grazie all’apporto di capitali, management e metodi americani, fra cui il “comprare all’americana”: supermercati ricchi di merce di qualità a buon prezzo, perché è difficile essere comunisti con la pancia piena, sosteneva Rockfeller.

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«Per dare l’idea di cosa fosse il progetto, Rockfeller con questa società, fondatrice di Superamkets Italiani (poi Esselunga) aveva 11.500 dipendenti nel mondo, 5.5 miliardi di dollari, 200 società in 33 paesi diversi in 5 continenti – racconta Giuseppe Caprotti –. Ma uno dei miti che viene sfatato in questo libro è la famosa cena a Milano in onore di Rockfeller: in realtà le cene furono tre e i Caprotti vi si erano aggregati tramite Marco Brunelli, amico fraterno di Guido Caprotti, fratello di Bernardo. Brunelli diventò non solo il primo azionista di questa nuova società, la Supermarkets Italiani, ma anche il primo presidente che aveva i rapporti diretti con gli americani. All’inizio Bernardo ha avuto un ruolo marginale perché, morto il nonno, si è dovuto occupare dell’industria tessile.

Dal ’65 in poi (diventato amministratore delegato della Supermarkets Italiani, ndr) mio padre ha contribuito in modo geniale allo sviluppo di Esselunga, e questo non gli verrà mai tolto. Ma è stato anche molto abile, nel tempo, ad appropriarsi dell’identità di tutti i suoi soci e familiari che l’hanno resa grande con lui: sua madre Marianne, che ha contribuito alla nascita della società con i soldi del nonno, i fratelli Guido e Claudio e poi anche i figli». Quei figli, Giuseppe e Violetta, che sono stati i protagonisti delle grandi innovazioni degli anni ’90 e 2000: dai superstore, al bio, all’e-commerce, passando dalla Fidaty card per arrivare alle pubblicità storiche con l’agenzia di Armando Testa, come “John Lemon”, per citarne solo una.

Il libro “Le ossa dei Caprotti”. Perché?

Come mai questo libro è uscito solo adesso? Questa la prima domanda pubblica alla quale Giuseppe Caprotti risponde durante a presentazione del libro. «Perché per 20 anni, da quando sono uscito malamente dalla mia azienda, ho sentito di tutto. Sono stato bersagliato da notizie create ad arte e ho deciso di rispondere con un saggio documentato. L’ho fatto per i miei figli, perché non hanno idea di cosa mi sia successo, come non l’hanno tantissime persone che mi sono amiche. Sono stato accusato di mala gestione e dal libro si evince che questo non è vero.

Ci ho messo tanto tempo perché ero impegnato in una disputa legale che non ho voluto nel modo più assoluto. La disputa si è conclusa nel 2020, ma sul fronte penale sono stato impegnato per 9 anni e tutto è terminato nel 2019, quando sono riuscito ad incontrare Brunelli. Da lì ho capito che non solo c’erano delle cose che non quadravano nella mia storia, ma anche nella storia di Esselunga. E la storia di Brunelli è corroborata dagli archivi americani (Rockfeller Archive Center, ndr)».

Il resto si trova nelle 380 pagine del libro “Le ossa dei Caprotti”, che raccontano tutti i fatti di Esselunga, sia quelli storici che gli aneddoti di famiglia, i ricordi belli e quelli meno belli, le cose curiose, le faide familiari, le accuse che sono state mosse all’autore dal padre e le risposte di Giuseppe, dati alla mano. Oggi Giuseppe Caprotti presiede la Fondazione Guido Venosta, che onora la memoria del nonno materno occupandosi di progetti nell’ambito della ricerca scientifica, della tutela della salute, della cultura e della solidarietà.

Esselunga, 5 domande a Giuseppe Caprotti

Un carrello squarciato in copertina: cosa significa?
«Sunny Studio, che ha fatto in parte la copertina, l’ha interpretato come una forma di libertà. Io lo interpreto allo stesso modo».

Ha detto che in questo libro si racconta la storia di una sconfitta. A distanza di anni, pensa che ci sia qualcosa di diverso che avrebbe potuto fare?
«Assolutamente sì. Sicuramente mi sono sentito indispensabile, il che è stata una grossa stupidata. Poi io volevo emergere a tutti i costi, perché io “facevo” in azienda, ma non si poteva apparire fuori, era proibito, perché Bernardo non voleva. Lo racconto nel libro perfettamente con le pubblicità dell’agenzia Testa, quelle con tutta la frutta che vola. Mia sorella (Violetta, ndr) venne da me e mi disse “Giuseppe, ma qui me la chiedono tutti, mi chiedono servizi”, ma Bernardo frenava. Quando io ho denunciato Coca Cola e ho vinto all’antitrust c’è stato un periodo in cui il Wall Street Journal mi voleva intervistare, ma non si poteva. Mio padre ha tergiversato per mesi, ma l’ha fatto apposta».

Cosa pensa che avrebbe detto di questo libro?
«Secondo me gli sarebbe piaciuta molto la pubblicità, forse anche la copertina. Il contenuto un po’ meno».

I proventi di questo libro vanno alla Fondazione Venosta, che rappresenta il suo presente e il suo futuro?
«Sì perché deve essere strutturata, deve diventare ETS (Ente del Terzo Settore, ndr) poi, ultimo e macroscopico punto, è che devo assolutamente sviluppare un progetto dove io sia federatore. Non mi interessa essere il padrone, ma essere quello che riesce politicamente a mediare».

Magari con un’altra campagna di comunicazione con Armando Testa?
«Magari con Sunny Studio. Ma lo farò se diventa un progetto grosso che serva alla città di Milano, perché la figura di mio nonno, Guido Venosta, è una figura faro e questo libro mi è servito per capire anche i miei nonni e un bisnonno che si chiamava come me, mi è servito a conoscere la famiglia e mi aiuterà anche nei modelli più virtuosi, non solo nell’imprenditoria, ma anche nel terzo settore, che è sempre l’ultima ruota del carro. Perché c’è tanta buona volontà, ma pochissima managerialità».

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