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10. 05. 2024 14:37

A Milano ancora troppi ciclisti morti in bicicletta: lo dimostra un “Atlante”. Ecco come

La città ha un chiaro problema: quello degli incidenti ciclistici. E spesso la "colpa" non è delle biciclette. I dati e la ricerca di Bozzuto, Manfredini e Guastamacchia del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

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Sono almeno 125 i ciclisti morti in bicicletta in Italia dall’inizio dell’anno. 108 uomini e 17 donne. 48 over 65, 9 sono deceduti in episodi di pirateria stradale. Per non contare poi i decessi di queste ultime settimane. Insomma, 125 – numero che fa già abbastanza paura di per sé – è solo un dato parziale. E qual è la Regione che conta più vittime? Proprio la Lombardia.

Ciclisti morti in bicicletta: la situazione

A riportare i dati del 2023 è l’Asasp, Associazione Sostenitori ed Amici della Polizia Stradale, la quale rivela che nella nostra Regione, dall’inizio dell’anno ad agosto, sono morti almeno 27 ciclisti. Al secondo posto troviamo l’Emilia Romagna con 18 decessi, al terzo il Veneto con 12.

Paragonando invece le grandi città italiane alla media europea, come osserva l’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, basandosi sui numeri del Global Bicycle Cities Index 2022, qui ci sono ancora pochi ciclisti ma tante vittime.

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A Roma la media è di 1,41 ciclisti morti ogni 100.000. A Milano 1,16. Sopra c’è solo Amsterdam con 1,77, la peggiore. Scendendo c’è Copenaghen con 1,04. Va meglio a Parigi con 0,75, Londra 0,68, Madrid 0,61, Berlino 0,58.

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Corso di Porta Vittoria, dove una ciclista di 39 anni ha perso la vita travolta da una betoniera il 20 aprile 2023

Insomma, capiamo bene che c’è qualcosa che non va. Capiamo bene che ora più che mai è necessario non solo tenere monitorata la situazione dell’incidentalità ciclistica, ma anche valutare l’efficacia dei provvedimenti assunti ed eventualmente proporre nuove norme per ridurre drasticamente i ciclisti morti o feriti.

Ad indagare questo fenomeno sono stati il professor Paolo Bozzuto del dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, Fabio Monfredini ed Emilio Guastamacchia, rispettivamente responsabile ed esperto GIS del laboratorio Mapping and Urban Data Lab, e Benedetta Damiani, Micaela De Carlo e Ginevra Santomero, studentesse tirocinanti.

Atlante italiano dei morti e dei feriti gravi in bicicletta. Questo è il titolo dello studio dell’Ateneo meneghino. Un titolo che parla chiaro. Si tratta di un progetto di ricerca che raccoglie i dati disponibili sul tema e, al tempo stesso, si pone come obiettivo quello di elaborare un database specifico sui sinistri che coinvolgono almeno un ciclista.

L’Atlante italiano dei morti e dei feriti gravi in bicicletta: i dati su Milano

Veniamo al contenuto dell’Atlante, che tiene in considerazione gli anni dal 2014 al 2021. Ebbene, in questo lasso di tempo, gli incidenti in bicicletta sono stati ben 133.856. Il 24,94% sul totale nazionale sono avvenuti in Lombardia (33.3885). E indovinate qual è la città con i numeri più alti? Proprio Milano.

Con 13.605 sinistri, il capoluogo meneghino «è – si legge – il contesto in cui si è verificato il maggior numero di incidenti ciclistici. Quasi il quadruplo (391%) di quelli verificatisi a Brescia (la seconda provincia con il maggior numero). Ciò a fronte di un rapporto tra popolazione residente tra le due province pari a 2,5». E non è finita qui.

Come riporta lo studio degli esperti Paolo Bozzuto, Fabio Monfredini ed Emilio Guastamacchia del Politecnico di Milano, su 64.289 incidenti stradali totali, oltre 8mila hanno visto coinvolta almeno una bicicletta. Ciò vuol dire che il tasso di incidentalità in bici è stato del ben 12,7!  

Ciclista travolto, Ciclisti morti
Via Comasina, dove un ciclista di 55 anni è morto schiacciato da un mezzo pesante mentre andava al lavoro

Un altro dato importante che emerge dalla ricerca riguarda la natura degli incidenti. «Si va dagli sbandamenti, agli infortuni per caduta dalla bicicletta o per frenata improvvisa, all’urto con altri veicoli, agli sconti laterali o frontali fino ai tamponamenti veri e propri».

Ma la cosa più sorprendente è che «solo il 24,9% di questi può essere ricondotto in modo esclusivo a imperizia nella guida della bicicletta o a comportamenti scorretti da parte del ciclista». Insomma, al contrario di quello che molti pensano, spesso e volentieri non sono i ciclisti ad assumere condotte sbagliate o pericolose per se stessi e per gli altri.

Infine la ricerca riporta che l’85,63% dei ciclisti morti in sella alle loro bici sono di sesso maschile, il 14,48% di sesso femminile. La maggior parte dei sinistri avviene nei giorni feriali e spesso durante i consueti orari in cui si compiono tragitti casa-scuola o casa-lavoro e viceversa.

Bozzuto, Manfredini e Guastamacchia a Mi-Tomorrow: intervista agli autori dell’Atlante

Dottori, da dove nasce l’idea dell’Atlante?
«La nostra ricerca ha una data simbolica di origine: il 30 novembre 2022. Una data particolarmente tragica perché quel giorno, in località diverse, lungo le strade italiane, ci sono stati due ciclisti morti: Davide Rebellin (51 anni) e Manuel Lorenzo Ntube (17 anni). La prima vittima: un ciclista professionista di fama mondiale, appena ritiratosi dall’agonismo dopo trent’anni di carriera sportiva. La seconda: un giovane calciatore che usava la bici per gli spostamenti quotidiani. Quel giorno è divenuto oltremodo evidente il fatto che non importa quanto un pedalatore sia abile nella guida della bici, fisicamente preparato, attento ed esperto: sulle strade italiane, in bicicletta, si può morire comunque».

«In modo abbastanza immediato e naturale, essendo tutti e tre interessati ai temi della mobilità sostenibile e, in particolare, della mobilità ciclistica (siamo tutti anche appassionati di ciclismo, da molto tempo), nei giorni successivi a quella data tragica, abbiamo deciso di fare qualcosa per approfondire la conoscenza sull’incidentalità ciclistica, provando a studiare il fenomeno in modo scientifico, costruendo un progetto che ci sembrava mancare nel panorama della ricerca attuale, ma facendo tesoro delle tante esperienze meritorie già condotte da altri soggetti».

«Svolgiamo questa ricerca anche grazie alla preziosa collaborazione di studenti tirocinanti e laureandi del Politecnico: anche per loro si sta rivelando un’esperienza significativa e formativa».

«La rilevanza del nostro lavoro risiede, soprattutto, nel tentativo di indagare il rapporto tra i numeri (cioè, i dati statistici relativi agli incidenti), gli spazi (i luoghi e le condizioni in cui sono avvenuti gli incidenti) e le pratiche ciclistiche (i profili delle vittime, le ragioni per cui pedalavano, con quale tipo di bicicletta, ecc.)».

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Operai al lavoro per delineare una pista ciclabile a Milano

Avete intenzione di portarlo avanti anche nei prossimi anni?
«La sfida che il nostro progetto di ricerca vorrebbe affrontare, nella sua prospettiva di lavoro di lungo periodo  è quella di costituire un osservatorio sull’incidentalità ciclistica in grado non solo di svolgere attività di monitoraggio sugli incidenti avvenuti, ma anche di costruire conoscenza ‘prefigurativa’, così da poter fornire un contributo mirato a individuare preventivamente i luoghi e le condizioni di maggior pericolosità potenziale per chi intende muoversi in bicicletta».

Nella ricerca si fa presente che l’ISTAT inserisce i dati sugli incidenti in bici nel repertorio generale degli incidenti stradali. Dunque non li elabora in modo così specifico e dettagliato come forse si dovrebbe fare. Come mai?
«ISTAT  è il principale produttore e distributore di dati in Italia. Gestisce la raccolta e l’acquisizione di dati su innumerevoli tematiche, anche molto distanti tra di loro. Svolge dunque un lavoro complesso ed encomiabile. In particolare, sull’incidentalità stradale i dati sono raccolti da ISTAT annualmente; per ogni incidente sono resi disponibili una serie di informazioni specifiche sulle circostanze, sui mezzi, sulle persone coinvolte e sull’esito».

«L’incidentalità stradale, di cui quella ciclistica è solo una parte, è trattata da ISTAT in termini complessivi e mostra una certa “specializzazione” nella raccolta dei dati; questi infatti riguardano prevalentemente le caratteristiche dei veicoli a motore (cilindrata, anno di costruzione,  ecc.) piuttosto che le caratteristiche degli altri mezzi coinvolti negli incidenti: nulla si conosce, ad oggi, sulle caratteristiche delle biciclette coinvolte (dispositivi luminosi, caratteristiche dei gruppi frenanti, condizioni generali di manutenzione del mezzo, condizioni degli pneumatici, ecc.). Queste informazioni, se rilevate e rese disponibili, potrebbero permettere di analizzare in modo più dettagliato e certo il fenomeno, consentendo di individuare con maggiore precisione le reali cause dell’incidentalità ciclistica».

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Ciclista a Milano che si sposta con la bici a noleggio

Quali e quanti sono i limiti con cui dobbiamo fare i conti oggi?
«Le notizie di cronaca di questi ultimi mesi e il nostro lavoro hanno reso evidente la necessità di coordinare gli sforzi e unire le competenze di tutte le istituzioni coinvolte per conoscere meglio la dimensione e la distribuzione spaziale degli incidenti in modo da intervenire in modo mirato sulla diffusione del fenomeno e, in particolare, sulle situazioni di maggior pericolosità. In questo quadro generale, ad esempio, ci preme sottolineare che ad oggi non esiste un dato sul numero complessivo delle persone che utilizzano la bici e che paradossalmente, pur con tutti i limiti enunciati, sugli incidenti sappiamo molto di più rispetto alla diffusione della bicicletta come mezzo di trasporto».

«In estrema sintesi: ISTAT svolge in modo ottimo la sua missione; la nostra ricerca pone l’attenzione sulla necessità di rendere l’incidentalità ciclistica una categoria autonoma, specifica, soggetta a modalità di rilevazione e analisi diversi rispetto a quelle oggi utilizzate. E di questo, in futuro, speriamo di poter ragionare e discutere proprio con ISTAT e con tutti gli altri soggetti istituzionali coinvolti».

A Milano sentiamo parlare ancora troppo spesso di ciclisti morti in bicicletta. L’impressione che i cittadini hanno è che le istituzioni non stiano facendo abbastanza per contrastare questo fenomeno. Perché questo succede?

«Purtroppo, in questi ultimi mesi, a Milano si sta assistendo a una sequenza molto preoccupante di incidenti mortali che vedono coinvolti ciclisti. I ciclisti morti in strada sono una tragedia collettiva. Purtroppo, però, sono solo le vittime più sfortunate di un fenomeno – quello dell’incidentalità – la cui reale dimensione e pervasività si riesce a cogliere solo se, come facciamo con la nostra ricerca, si prendono in esame anche i feriti. Per ogni morto in bici, approssimando molto, possiamo dire che a Milano si registrano 200 feriti. A volte molto gravi».

«È la dimensione complessiva del fenomeno degli incidenti di cui sono vittime le persone che decidono di usare la bicicletta a essere davvero inquietante; ciò rischia di deprimere ogni sforzo mirato a rendere Milano una città più ‘sostenibile’ dal punto di vista della mobilità urbana. Investire sulla mobilità attiva (quindi sulla sicurezza non solo dei ciclisti, ma anche dei pedoni) è fondamentale per le prospettive di sviluppo futuro di Milano. È fondamentale anche per potersi confrontare realmente con le altre grandi città europee ed extraeuropee che, da tempo, hanno investito in modo efficace su questi aspetti».

Cosa si potrebbe fare per diminuire il numero di ciclisti morti o feriti?
«Le istituzioni complessivamente, non solo il Comune, hanno un ruolo importante e devono agire su più fronti con provvedimenti puntuali (come la delibera comunale sulla necessità di dotare di sensori per gli “angoli ciechi” i veicoli pesanti che entrano in città) e provvedimenti più articolati e impegnativi (messa in sicurezza di tratti stradali con piste o corsie ciclabili, segnaletica, ecc.). Ma registriamo anche la necessità di agire sulla dimensione culturale e di sensibilizzazione degli utenti della strada: il conducente del mezzo pesante, l’automobilista, il motociclista e lo scooterista devono assumere come dato di fatto la presenza sulla strada anche dei ciclisti e dei pedoni. Anche chi si muove usando la bicicletta deve assumere atteggiamenti responsabili e attenti, ma il metaforico peso degli appelli alla responsabilità, lungo la strada, non può essere paritario: dovrebbe essere proporzionale al peso reale, materiale, del veicolo che si guida e alla sua velocità».

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Ciclisti in corso Garibaldi, Milano

Se doveste fare una campagna di sensibilizzazione oggi, in qualità di ricercatori ed esperti, a chi vi rivolgereste in prima istanza?
«T
ra le tante misure urgenti che a Milano bisogna intraprendere, quella più agevole da attuare nell’immediato sarebbe proprio una campagna di comunicazione sociale “martellante”. Una campagna in grado di raggiungere e intercettare tutti coloro che si muovono in città, ma soprattutto chi si muove con mezzi motorizzati (camion, suv, ecc.). Una campagna che abbia per oggetto il diritto alla città e il diritto alla strada degli utenti deboli: i ciclisti e i pedoni. Una campagna in grado di ricordare a chi usa un mezzo motorizzato che la prima e massima urgenza non è arrivare velocemente a destinazione, ma prestare attenzione alla strada e ai suoi tanti utenti diversi. E che rispettare e tutelare gli altri, i più deboli, è anche il modo più intelligente per tutelare sé stessi e per essere realmente efficienti».

«Ecco…una campagna di questa natura sarebbe di fondamentale importanza. E per Milano sarebbe anche il modo per esercitare ancora, in senso positivo e costruttivo, il suo storico ruolo di città che anticipa e contribuisce a definire il futuro del Paese».

Fonti:
Global Bicycle Cities Index 2022
Asasp.it
Atlante italiano dei morti e dei feriti gravi in bicicletta

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