Partenza da San Babila, linea M1 della metro (in attesa della linea M4). In via Durini, dopo aver salutato il Maestro Toscanini e la sua casa (civico 20), godiamoci la forma, il colore e la bellezza di Santa Maria alla Sanità. Spicca incredibilmente in mezzo alle case di questa via: soprannominata “il violoncello” dai milanesi per la sua forma particolare, venne costruita per i padri Camilliani a partire dal 1694. E’ spesso chiusa, ma al mattino presto, ogni tanto, si può essere fortunati. In fondo alla strada, al momento, manca la colonna del Verziere: niente paura, tornerà al suo posto appena terminati i lavori della nuova metropolitana.
A due passi da San Babila: da via Durini verso il Tribunale
Da largo Augusto. Lasciata San Babila alle nostre spalle e arrivati quindi in largo Augusto, giriamo a sinistra, procediamo per qualche metro e superiamo l’incrocio con via Visconti di Modrone. Proprio davanti a noi una bottega storica dal sapore interessante: Taveggia. Colazione o meno, procediamo avanti, sempre dritto, ricordando di guardare sempre a destra e sinistra ed anche in alto: potreste per esempio notare lo stemma che trovate sul primo portone di via Corridoni.
San Pietro in Gessate. Poco avanti ancora, quando già l’imponenza del tribunale si nota sulla destra, ecco quasi di fronte apparire San Pietro in Gessate, un gioiellino che troppo spesso viene ignorato, saltato e non descritto. Le prime testimonianze risalgono al XIII secolo, quando viene nominata una chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo “in Glaxiate”, officiata dagli umiliati. La chiesa attuale fu invece edificata attorno agli anni ’60 del Quattrocento, su impulso dei fratelli Portinari, un nome che dovreste conoscere o per lo meno, avreste dovuto già sentire. Sono, infatti, i titolari della filiale milanese del Banco Mediceo, che finanziarono anche la celebre cappella in Sant’Eustorgio (che infatti si chiama cappella Portinari). Sembra che il progetto di questa chiesa si stato dato in mano a Guiniforte Solari, che negli stessi anni dirigeva i cantieri dell’Ospedale Maggiore e di Santa Maria delle Grazie. Insomma, nomi importanti! Se fate un salto all’interno, perdetevi ad ammirare tutto quello che questa chiesa ospita. Nonostante le condizioni non sia ottimali, si respira davvero aria di storia.
Ci vediamo in… San Gioachimo
San Gioachimo, nome della chiesa e della piazza in cui la possiamo ammirare. Siamo di fronte a quello che ancora in tanti chiamiamo le ex-Varesine. La chiesa di San Gioachimo è piuttosto recente: voluta da Monsignor Luigi Nazari di Calabiano, arcivescovo della nostra città nella seconda metà del 1800, venne realizzata nel 1880 ed intitolata al nonno di Gesù. Gioachimo, infatti, era il marito di Sant’Anna e dalla loro unione nacque Maria. Ai tempi della costruzione, San Gioachimo era vicinissima alla stazione Centrale, quella del 1864.
Neo rinascimentale. La zona cambiava molto velocemente ed infatti negli anni trenta del ‘900 la stazione si spostò nuovamente e la chiesa si trovò a condividere la zona solo con i binari delle linee varesine (da qui il nome delle famose giostre). Fu Enrico Terzaghi a costruirla: seguì uno stile che all’epoca andava molto di moda, quello neo rinascimentale. A quei tempi la chiesa aveva di fronte i sottopassaggi della vecchia stazione: solo nel 1920 si realizzò la piazza che vediamo oggi.
Vetrate. Le due grandi vetrate di San Gioachimo che possiamo osservare sono dedicate ai caduti della grande guerra (vetrata a sinistra), mentre sulla destra possiamo ammirare la famiglia di Maria con Gioachimo, Anna, Gesù e Giovanni Battista. Questa vetrata, realizzata nel 1932 è dedicata alla memoria di Giovanni Battista Pirelli e della moglie Maria Sormani. Gioachimo o Gioacchino (in ebraico Jojakim) non è mai nominato nei testi biblici canonici; la sua storia è narrata in tre vangeli apocrifi.
Non solo vie: Ferrante Aporti
Ferrante Aporti nasce a San Martino dell’Argine, in provincia di Mantova, il 20 novembre 1791. Frequenta il ginnasio a Cremona e a 15 anni entra in seminario. A 24 diventa sacerdote. Si reca poi a Vienna per studiare la Sacra Scrittura e le lingue dell’Oriente Biblico. Rientrato a Cremona diventa professore di Storia della Chiesa e di Esegesi Biblica nel seminario diocesano. Nel 1821 gli viene affidata la direzione delle scuole elementari maggiori maschili di Cremona e, cinque anni dopo, si occuperà anche dell’insegnamento della metodica per gli aspiranti maestri elementari.
Educazione. Ferrante Aporti comprende l’importanza dell’istruzione educativa vista come mezzo di emancipazione del popolo. Fonda la prima scuola d’infanzia, per bambini dai due anni e mezzo ai sei. La prima fondazione è rivolta ai figli delle famiglie agiate ed è a pagamento. L’anno successivo ne apre una per i bambini poveri sovvenzionata dalla generosità dei cremonesi.
Asili. Nel giro di cinque anni vengono aperti sei asili a Cremona. L’intento dell’asilo, oltre a quello di educare, era di preservare i bambini dai percoli della strada e di aiutare le famiglie a sostenere i bambini tramite la refezione. Su ispirazioni di Aporti vengono fondate scuole di infanzia in altri territori del Lombardo-Veneto, Piemonte, Toscana, Liguria, Emila e Romagna. Don Ferrante Aporti diventa il punto di riferimento a cui quasi tutti i centri fanno a capo. Si interessa anche dell’educazione dei ciechi, dell’istruzione dei contadini, delle scuole magistrali, della preparazione delle insegnanti.
Ultimi anni. La sua fama si diffonde e spesso si reca da diversi intellettuali, regnanti e politici per illustrare le sue iniziative. Nel 1856 diventa presidente del Consiglio universitario sabaudo e poi senatore. Successivamente diventa ispettore generale degli asili di Torino. Negli ultimi anni della sua vita, diventato direttore della scuola infantile aperta a pochi passi dalla sua abitazione, si dedica ai bambini. Ferrante Aporti muore a Torino il 29 novembre 1858 lasciando i suoi averi a beneficio degli asili.
Se Parla Milanes: bottonaa de dree
La traduzione è «abbottonato di dietro». Si tratta di un modo popolare per indicare una persona distratta o non particolarmente abile, tanto da allacciato la giacca al contrario. Usato spesso anche nei varietà per interpretare lo sciocco, questo modo di dire arriva nientemeno che dagli illuminati: la giacca veniva messa al contrario in modo che tutti dipendessero dagli altri.